La Chiesa romanica, come anche il Monastero, è dedicata ai Santi Pietro e Paolo, è stata costruita su un precedente tempio paleocristiano e durante i secoli la chiesa stessa
ha subito importanti manomissioni e interventi pesanti, specialmente durante il periodo della Controriforma e in epoca barocca.
Oggi si accede alla chiesa, in quelle rarissime volte che è aperta al pubblico, essendo una proprietà privata, dal portone principale prospiciente il piazzale davanti al
complesso; invece le monache potevano entrare in Chiesa dall’antico Chiostro.
Al centro della facciata c’è un rosone centrale in asse con il portale.
La sua forma attuale risente molto del rifacimento cinquecentesco, quando in occasione della visita pastorale di San Carlo Borromeo nel 1578,
furono sistemati sia la facciata, sia l’interno.
La decorazione originaria della chiesa è quasi completamente perduta.
Ad eccezione del portale e di un capitello con base d’imposta adiacente alla facciata attuale, si è, infatti, persa la decorazione plastica e pittorica che un tempo ornava
l’edificio liturgico.
Il portale è inquadrato da due colonnine in pietra che sorreggono un archivolto chiuso da ghiera esterna scolpita e sorretta da capitelli e spalle anch’essi lavorati.
L’archivolto è ornato da un tralcio di vite con grappoli d’uva e uccelli, mentre la ghiera esterna presenta il classico inseguimento di animali col suonatore di corno, l’agnello
crocifero, una testa antropomorfa e un drago fuori asse. I due capitelli, invece, hanno terminazioni antropomorfe simili a green man, tralci vegetali e intrecci. Green man o uomo verde è un’entità
ricorrente in varie credenze pagane ed è raffigurata anche in edifici sacri. Consiste nel volto di un uomo i cui baffi e capelli sono composti di foglie che fuoriescono dalla sua bocca.
L’apparato decorativo del portale d’ingresso è arricchito anche dai simboli degli Evangelisti realizzati nelle spalle realizzate in marmo, che richiamano l’analogo tema iconografico
presente nel capitello di destra.
Adiacenti al contrafforte destro della facciata si possono ammirare un capitello e una base d’imposta di marmo che sorreggono una bifora tamponata: l’uno ha teste angolari antropomorfe
e un’aquila, l’altra una testa d’uomo dai lunghi baffi e dal pizzetto pronunciato mentre sui lati lunghi si vede una coppia di colombe.
La scelta iconografica e lo stile esecutivo di queste opere inseriscono i rilievi della chiesa dei Santi Pietro e Paolo nella produzione lombarda dell’inizio del XII secolo. Essi
si ricollegano a quel ricco repertorio figurato e decorativo, condotto con lieve aggetto dal piano di fondo, con grande vivacità espressiva e decorativa, con certo interesse naturalistico (che
spicca sul tralcio dell’archivolto), che scaturiva dai più importanti cantieri delle chiese milanesi, primo fra tutti quello della Basilica di Sant’Ambrogio.
Il campanile, a base quadrata, s’innesta sull’antica navatella meridionale della chiesa.
È dotato di robusti contrafforti angolari in conci di pietra simili a quelli della facciata, mentre nelle specchiature interne coronate da file di archetti ciechi ben
approntati, si dovevano aprire ampie bifore, oggi tamponate e “ridotte” a strette monofore.
L’impianto romanico è chiuso da una cornice a dente di sega, sopra la quale s’innalza la più recente cella campanaria in laterizio. Proprio la struttura dei
cantonali e la forma degli archetti, costituiti da conci monolitici e sorretti da regolari peducci a sguscio, fa supporre che il campanile fu realizzato in epoca coeva alla chiesa.
La Chiesa è a un’unica navata, sormontata da volte a crociera che hanno coperto le originali capriate. Originariamente le navate dovevano essere tre, le due laterali sono state
abbattute. Questo fatto ha generato dei grossi problemi alla staticità della chiesa, per questo rinforzata con tiranti di acciaio.
La Chiesa conventuale, interna, è stata per lungo tempo in totale stato di abbandono, essendo stata adibita addirittura a magazzino.
Tutte le decorazioni all’interno della Chiesa sono d'impronta barocca, l'unico elemento originario della struttura è dato da una parete di controfacciata a spina di pesce,
costituita da ciottoli alluvionali a vista. Accanto a questa, un capitello con la parte posteriore di un animale alato.
Sulla parete di destra del presbiterio è dipinto Cristo inchiodato
alla croce, sul braccio orizzontale del sacro legno è segnata la data di esecuzione 1738, sulla parete sinistra la
Deposizione. In questo periodo tutta la chiesa fu coinvolta in un generale restauro.
Sul tramezzo che separa lo spazio riservato ai fedeli dall’aula monastica, si trovano vari strati di affreschi risalenti a periodi diversi. Lo strato più recente presenta due
ovali in stucco settecentesco raffiguranti uno la Vergine con il Bambino e l’altro
San Giuseppe. Anche le incorniciature eseguite a stucco degli affreschi in controfacciata (San
Pietro, San Paolo e San Benedetto), le pale d’altare e i dipinti sulle sovrapporte sono probabilmente dello stesso pittore. Al centro un
altare barocco ricco di marmi di vari colori. Sotto i due ovali sono dipinti Angeli oranti
e Angeli reggi cortina: purtroppo il dipinto è rovinato da un vecchio scialbo (intonaco fine) al disotto del
quale si notano frammenti di figure cinquecentesche. Si pensa, visti gli attributi iconografici, che rappresentino San.
Antonio abate e San Nicola da Tolentino.
Sotto l’altare, l’immagine di Cristo con espressione dolente e malinconica; la forma stilistica fa pensare che sia stata dipinta dal Maestro di Brugora.
Al centro dell’altare vediamo un affresco raffigurante L’Ultima Cena,
scoperto per caso
dopo che fu tolta la pala d’altare che raffigurava la Crocefissione.
L’affresco stilisticamente richiama maestri cinquecenteschi della pittura lombarda ed è alternativa alla disposizione leonardesca di tradizione toscana.
Non abbiamo una data certa della sua esecuzione si pensa sia della fine del XVI secolo.
Al momento della sua scoperta il dipinto era in ottime condizioni e presentava ancora una straordinaria freschezza cromatica.
L’affresco è così ben conservato perché rimase in vista solo pochi decenni prima di essere coperto da una pala di Daniele Crespi,
risalente alla fine del 1600.
La pala del Crespi fu poi rimossa e portata a Brera per
ordine di Napoleone. Probabilmente l’affresco fu coperto a causa di un’anomalia iconografica, la presenza di Dio che normalmente non è mai raffigurata nell’Ultima
Cena.
La vetrata con "Cristo Pantocratore" realizzata nel 2006 nel tondo sulla parete di fondo, è opera di Alberto Ceppi.
Alle pareti sono stati recuperati alcuni affreschi del 16° secolo.
Fine terza parte
Articolo scritto da Rosa Maria Garofalo
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