Storia e descrizione dei Pupi Siciliani
Il teatro dei pupi è dal 2001 nell’elenco dei Beni immateriali dell’umanità, perché rispecchia l’identità di un paese e di un popolo.
Attestazioni di arte e cultura popolare che ancora sopravvive nella Sicilia contemporanea.
La nascita dell’Opera dei Pupi è fissata nella prima metà dell’Ottocento, anche se è da ricondurre al XVI secolo lo sviluppo di questa particolare forma teatrale.
Altri studiosi, però, reputavano che l’abilità dei pupari provenisse dalla maestria di alcuni siracusani, attivi già al tempo di Socrate e Senofonte, nel costruire e far muovere marionette.
I temi rappresentati derivano dalla Chanson de Roland, racconto delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, e dai grandi poemi epico-cavallereschi italiani (Orlando Furioso, Orlando Innamorato e il Morgante).
I personaggi del ciclo carolingio vengono trasformati in tipi simbolici della realtà quotidiana e popolare siciliana.
Le prime marionette realizzate nel Settecento s'ispirano per la rappresentazione dei personaggi e la foggia delle armature alle
xilografie dei poemi cavallereschi cinquecenteschi e alla stampa popolare del Seicento.
Il mutamento avviene perché l’Opera dei Pupi si afferma come uno degli spettacoli popolari più apprezzati,
grazie anche alla pubblicazione nel 1850 di quattro volumi dal titolo “Storia dei paladini di Francia” di Giuseppe Lodico.
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Nella metà dell’Ottocento si registrano innovazioni tecniche e artigianali che contribuiscono ad accrescere la spettacolarità delle rappresentazioni: le armature dei pupi, prima di cartone o di stagnola, diventano di metallo lavorato mentre non più un filo ma un’asta di ferro guida la mano destra del pupo.
In questo modo la marionetta può eseguire azioni più precise come per esempio riporre la spada nel fodero, abbassare la visiera o battersi il
petto.
I pupi esprimono la volontà di continuare a battersi in quella che è stata definita “la più invisibile delle guerre invisibili” che, con i nostri ideali, sosteniamo dentro di noi più che fuori.
Corretta l’interpretazione pirandelliana secondo la quale “siamo tutti pupi” animati dall’onnipotente Spirito divino.
Si distinguono due tradizioni dell’opera:
- quella “palermitana” diffusa nella Sicilia occidentale,
- quella “catanese” diffusa nella Sicilia orientale.
Esse presentano differenze tecniche. Nella prima, il pupo ha un’altezza compresa tra 80 e 100cm e il peso è di circa 10 chili.
Ha gambe articolate che gli consentono una serie di movimenti, quali ad esempio inginocchiarsi.
Esso è manovrato di lato, per cui chi lo guida occupa unposto parallelo alla scena.
Nella seconda, invece, l’esemplare raggiunge i 140 cm d’altezza e 30 chili di peso, è più possente, ma meno dinamico.
Questo è mosso dall’alto, pertanto i manovratori stanno in un punto rialzato rispetto alla scena.
L’opera dei pupi siciliani segue o il racconto orale, che i cantastorie recitavano nelle piazze, o quella gestuale della danza con le spade, antica rappresentazione di combattimento, che si rifaceva ai riti di fertilità.
Il racconto orale delle piazze si trasferisce in teatro, prende corpo e movenza attraverso i pupi.
Il narratore professionista del ciclo carolingio e di storie epico-cavalleresche, è stato probabilmente il veicolo principale attraverso cui l’opera dei pupi ha derivato i soggetti da rappresentare nella sua forma ciclica.
Da questi il puparo ha appreso la tecnica di interrompere il racconto in un momento cruciale, suddividendo la storia in infinite puntate.
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che sono state proprio le storie raccontate dai cuntisti ad ispirare la nascita del pupo armato.
Attorno a questo mondo fantastico si muovevano artigiani costruttori, sarti, pittori, scultori, una moltitudine di mestieri complementari al teatro dei pupi.
In questo ambiente l’oprante era la persona più rispettata, colui il quale raccoglieva in sé il maggior prestigio e l’arte più viva.
La prima crisi del teatro dei pupi si è manifestata intorno agli anni trenta, parallelamente alla diffusione del cinema; tuttavia fu superata facilmente, poiché
gli opranti continuarono ad aumentare.
Ognuno di loro aveva un proprio pubblico e si distingueva per caratteristiche e doti differenti: chi per le marionette più ricercate, chi per
la recita più appassionata, chi per la manovra straordinariamente perfetta.
La seconda grande crisi si verificò negli anni Cinquanta con l’arrivo della televisione seguito da un diffuso
disinteresse per questa forma di teatro popolare e per il suo repertorio, per il rifiuto verso un modello e un codice di comportamento in cui la gente non si riconosce più.
L’opera dei pupi coincide per le classi più umili con un passato di stenti, da superare ad ogni costo e da dimenticare.
I quartieri popolari cominciano a spopolarsi, molti teatrini vengono smembrati e svenduti; i figli dei pupari si dedicano ad altri mestieri.
Dunque, il mondo dell’opra si spezza e l’inettitudine della politica culturale disperde i pupari.
Solamente Giacomo Cuticchio riesce a coinvolgere nel suo lavoro la famiglia, ma soprattutto il figlio maggiore, Mimmo, che lo segue più degli altri nei paesini della Sicilia, dove Giacomo continua a rappresentare il lungo ciclo della Storia dei Paladini di Francia, sera dopo sera, fino al 1969.
L’esistenza della famiglia non era facile, poiché erano costretti a spostarsi continuamente durante anni durissimi dove
mancavano le esigenze più elementari.
L’ingresso al teatro era regolato da uno scambio in natura, la realizzazione di un paio di scarpe nuove coincideva con un abbonamento per un intero
mese, mentre formaggi, uova, olive e frutta compensavano l’ingresso di più serate.
L’abitazione era la casa-teatro, dove durante il giorno ogni figlio esercitava un ruolo preciso: chi
lucidava le armature, chi spolverava i visi dei pupi, chi preparava l’occorrente per riparare le marionette che durante i combattimenti si rompevano.
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Si è soliti ritenere che è stato proprio grazie all’organizzazione familiare che Palermo e la Sicilia occidentale possono vantare l’esistenza ininterrotta del
teatro dei pupi, che per i Cuticchio coincide con arte, passione, mestiere e vita.
Per quanto concerne, invece, la messa in scena vera e propria dei pupi siciliani è fondamentale dire che essi non hanno fili come le marionette ma si muovono solo per mezzo delle aste.
I pupari raccontano storie di ribelli, di coloro che si battono contro un potere prepotente e incomprensibile e in qualche modo riescono a vincere, improvvisando e recitando.
I paladini protagonisti non combattono per sé, per diventare ricchi e potenti ma in nome della religione, dell’amore, della gloria, della fedeltà.
Opera dei Pupi
L’Opera dei Pupi può essere considerata ancora teatro e in esso gli attori si confondono con i personaggi perché non ne indossano le maschere e non
calcano la scena.
I pupari sono ancora gente di teatro, i Fratelli Napoli sono pupari veri, non solo cultori di una tradizione familiare.
Sono gli eredi e i continuatori di una grande avventura artistica, incantevole, scandita dal ritmo delle generazioni.
Creano un linguaggio teatrale, costituito da parole, movimenti, immagini e suoni.
Allo stesso tempo svolgono il ruolo di autori e attori, scenografi e costumisti, tecnici delle luci e musicisti, impresari e macchinisti.
Protagonisti di uno spettacolo che nasce dall’immediatezza del contatto con un pubblico partecipe e come prodotto di un grande impegno professionale.