Il Grande Progetto pag. 2
COSA CERCO DI CAPIRE?
Se tutti gli esseri viventi sono accomunati ed integrati nei loro
ambienti e tutta la materia è in qualche modo legata alle stesse leggi
fisiche universali, allora si arriva ad immaginare che l’intero
Universo sia un tutt’uno e possa avere una sua ragione d’essere,
ovvero che possa rispondere ad un unico disegno.
Cosa si può intendere per “ragione d’essere”, se non uno scopo comune?
Forze apparentemente opposte tra loro partecipano alla creazione di
equilibri fondamentali e dalla loro contrapposizione, o unione, o dalla
loro trasformazione nascono nuove forze, forme diverse d’energia.
La domanda centrale è dunque solo questa: qual è lo scopo finale dell’Universo?
E non ha importanza che esistano o no universi paralleli, come viene
sostenuto da qualche teoria scientifica. Il problema e la domanda non
cambierebbero, la potremmo estendere a tutti gli universi, ovviamente,
così come è irrilevante a questi fini chiedersi se l’uomo è la sola
specie pensante nell’Universo o se ci sono altri esseri simili a
lui.
Questa è solamente una nostra legittima curiosità, che deriva dalla
paura d’essere soli nell’intero Universo, così come ci farebbe
altrettanta paura scoprire di non esserlo.
Ma come facciamo a comprendere se l’Universo ha uno scopo? C’è
qualche ragionamento che ci possa aiutare in questo senso?
Non è altrettanto valida l’affermazione, peraltro sostenuta da molti
pensatori, che l’Universo, la materia che lo compone e la vita che in
esso s’è sviluppata sia solamente il prodotto del caso?
Dunque un Cosmo senza senso, semplicemente casuale?
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LA NASCITA DELLE PRIME ONDE
C’è un punto da cui dobbiamo partire per comprendere se l’Universo
ha o non ha uno scopo: la sua nascita.
La nascita è sempre un evento nuovo, un cambiamento.
"All’inizio era il nulla, e il nulla non aveva nome."
(Chuang Tzu)
Nel caso dell’Universo possiamo pensare al minuto zero di una piccola
palla con una massa inimmaginabile in cui è potenzialmente presente l’embrione
di tutte le cose. E’ incredibile pensare che tutta la materia possa
essere stata raccolta in un solo ammasso compatto e microscopico.
Attualmente la materia composta da atomi è sparsa nello spazio
occupandone solo un modesto 3%, ma anche questo 3% è un valore di una
grandezza spaventosa.
Ma torniamo al minuto zero di uno spazio ancora inesistente.
E’ qui che ad un certo momento, momento che non può essere stato
preceduto da un’eternità o da un lasso di tempo misurabile, perché
né lo spazio né il tempo ne facevano ancora parte prima, qualcosa
inizia a cambiare e nasce “il progetto”.
Quello che gli astronomi chiamano il big bang, dopo che Foyle così lo
battezzò, anche se lui aveva usato un tono ironico, perché non credeva
all’esplosione iniziale.
E’ il minuto zero più 1 secondo; il primo secondo del mondo, che
risale a 13,7 miliardi di anni fa (miliardo più miliardo meno), se i conti più recenti sono giusti.
Sembrano un’eternità 13,7 miliardi di anni, se pensiamo che ad un
uomo non basterebbe la vita per contare a mano un miliardo di monetine.
E un anno è già lungo da passare.
Ma non ci dobbiamo lasciare sconvolgere da questi numeri. L’Universo
è tutto pieno di numeri difficili da afferrare con la nostra piccola
mente e a noi poco importano i numeri; la nostra indagine è alla
ricerca di qualcosa che non varia anche cambiando i numeri.
Ma chi o che cosa ha prodotto il grande cambiamento? Non possiamo
immaginarlo. Non possiamo pensare, ad esempio, ad un granello
microscopico di polvere che abbia accidentalmente urtato il nucleo della
massa compressa di tutta la materia, perché quel granello non avrebbe
potuto trovarsi in uno spazio non esistente. Ci dobbiamo allora rassegnare
ad imputare ad una entità superiore, che potremmo chiamare Creatore (da
non confondere col Dio cristiano), questa
volontà di compiere l'azione primigena.
Che differenza fa, poi, se 13,7 miliardi di anni or sono sia stato un
granello di polvere o un Creatore a dare il via al tempo ed allo spazio? O se
qualche scienziato calcolasse che non sono proprio 13,7 miliardi gli
anni del nostro Universo, come pare dai calcoli più recenti, ma “solo”
10 oppure 20 miliardi?
Resta la certezza che tutto il processo d’espansione successivo al
minuto zero sia stato una conseguenza che non possiamo definire “accidentale”,
ma dettata da una volontà che ha allo scopo impiegato precise leggi
astrofisiche. Dove per “fisica” non si dovrebbe intendere una
scienza limitata entro certi confini, come la studiamo noi a scuola, ma
come “legge suprema”, di cui ancora non sappiamo molti
particolari. Una legge che, come il DNA, racchiuda in sè tutto il
progetto degli sviluppi successivi della materia, per comporre galassie,
stelle e pianeti e via via fino a creare le condizioni adatte per la
nascita della vita e di esseri intelligenti.
E la legge suprema dell’Universo deriva direttamente dalla logica
univoca che ne è il fondamento.
I fenomeni che abbiamo esplorato e compreso sul nostro pianeta li
abbiamo estesi all’intero nostro sistema solare, scoprendo poi che
sono gli stessi che si verificano in continuazione in tutto l’Universo.
Sono le stesse leggi, la stessa materia, anche se poca rispetto al
grande vuoto, la stessa composizione chimica e le stesse forze.
Laggiù, dove spingiamo lo sguardo coi nostri strumenti e indaghiamo su
ciò che avviene, scopriamo elio, idrogeno, ossigeno, fenomeni
gravitazionali, reazioni nucleari e quant’altro siamo ormai abituati
ad osservare e che sappiamo da quali leggi fisiche siano governati.
Questo ci fa essere sicuri che siamo realmente fatti della stessa materia e
rispondiamo alle stesse leggi in ogni parte del mondo. Che poi nell’Universo
esista anche molto di più, oggi chiamato “energia oscura” ed anche
una grande parte di “materia oscura”, ancora una volta non ci separa
da tutto ciò che abbiamo in comune. Il nostro "Insieme" sarà
un insieme ancora più grande, ma è sempre un insieme, cioè un universo chiuso.
Per dare il via al processo ed alle reazioni rispondenti alle leggi
fisiche, bastava un evento iniziale che spezzasse l'apparente
stabilità. La grande legge fisica è racchiusa tutta in una semplice banalità?
Ma il tempo "due" è il doppio di uno e lo spazio due è il
doppio di uno, così come un atomo con due elettroni non può che essere
diverso da un atomo con uno solo. La materia, allora, inizia ad
evolversi e trasformarsi sulla base di uno schema che non ammette
invenzioni e fantasie, perché non ne ha bisogno. Occorreva solo la spinta iniziale.
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Il granello o la mano creatrice hanno scisso il grande UNO e lo hanno
trasformato in due masse uguali. Finché fosse esistito solamente l’UNO
non vi sarebbe stato Universo, perché laddove esista una sola cosa non v’è cosa alcuna da notare.
La grande semplice legge del due è anche la legge della
contrapposizione, del confronto, dello scontro, della differenza di
potenziale elettrico, del bianco contro il nero, del buio contro la
luce. Soprattutto è la legge delle dimensioni. Dove non v’è spazio e
tempo, non v’è un mondo che noi si sia in grado di percepire, perché non vi sarebbe informazione alcuna.
Ma quella mano che ha scisso il TUTTO, separandolo con un colpo secco
come si divide in due una mela, o che ha dato il primo scossone alla
corda del tempo e dello spazio, o in qualsiasi modo abbia provocato un’interferenza
sulla sua inerte immobilità, ha prodotto la nascita dell’Universo.
Questo dunque è l’inizio del progetto e questo stabilisce che alla
base della comparsa dell’Universo debba esserci per forza una causa
globale che si è messa in moto, per produrre un effetto altrettanto globale.
E quella causa non poteva essere “dentro” l’Universo stesso.
IL MESSAGGIO
La palla ferma in equilibrio perfetto al centro del nulla ha così
iniziato a rotolare, come una valanga.
Basta un fiocco di neve per dare il via ad un fenomeno gigantesco. Quel
fiocco in più, che mette in crisi l’equilibrio di una massa critica, ma ancora stabile.
“Quel” fiocco non esisteva nell’Universo raggomitolato in sé
stesso, doveva per forza venire da fuori, essere un agente esterno
scatenante. Già, ma quale "fuori" se non c'era altro spazio?
Il fenomeno rappresenta ai nostri occhi la volontà di dare il via ad un
processo inarrestabile, ad un programma prestabilito, a quello che io
chiamo “IL PROGETTO” appunto. A noi poco importa in fondo avere l’esatta
spiegazione astrofisica del come si sia verificato il fenomeno, se in
modo uniforme o a scatti. A noi interessa la volontà che sta “dietro” al fenomeno.
Quale potrebbe essere lo scopo di questo gigantesco progetto? Non
abbiamo nessun elemento che ci possa aiutare in questa dimensione del problema.
Abbiamo solamente la certezza acquisita che ad un certo punto l’Universo
ha iniziato a vibrare ed espandersi, come in una colossale reazione a
catena. L’Universo, col dilagare delle sue onde, diventa sempre di
più creatore di spazio e di tempo, perché le onde sono inarrestabili.
Naturalmente non ho detto “invasivo” di spazio e di tempo, perché
è lo stesso Universo che nel suo espandersi genera lo spazio ed il
tempo che gli occorre, senza occupare spazi o tempi preesistenti, dunque
senza invadere confini inesistenti.
Ed ancora una volta non sono determinanti per il nostro pensiero le
teorie che cercano di capire in quale modo l’Universo si espande: si
espanda come vuole, come è giusto che sia, ma se è vero che si
espande, allora ha sicuramente una ragione per farlo.
Alla base di tutto il ragionamento rimane sempre e comunque un solo
dubbio: quale obiettivo si prefigge l’Universo con il suo espandersi e trasformarsi?
Può essere data anche a questa domanda la stessa risposta che spesso
diamo allo scopo del genere umano? Ovvero che l’unico scopo sia quello
di esistere e basta? E’ o non è indispensabile che i fenomeni abbiano una finalità?
Questa visione così utilitaristica ha senso o è semplicemente dettata
da un condizionamento della mente umana atto a cercare una motivazione in tutte le cose che ci circondano?
La mia opinione è che uno scopo ci debba essere e la risposta mi viene
da una semplice osservazione. Torniamo per un attimo all’inizio,
quando tutto era fermo. Immaginate un asse cartesiano e disegnate un
puntino sulla base delle ascisse e delle coordinate, al punto zero.
Questo stato rappresenta la quiete, l’assenza di qualsiasi fenomeno
osservabile, perché non c’è variazione né di spazio né di tempo,
ma solo energia potenziale latente.
Quando avviene il miracolo e l’energia sviluppa le sue prime
oscillazioni di moto allora abbiamo la nascita di un’onda. E l’Universo
intero è un messaggio fatto di infinite onde o vibrazioni. La recente
teoria delle stringhe si basa proprio su queste ipotesi.
Il messaggio si muove, è visibile, è misurabile. Un insieme gigantesco
di onde che vibrano a tutte le frequenze e che portano lontano il loro
contenuto. L’Universo, dunque, è una trasmissione di dati. Molto
complessa, s’intende e con ancora molte oscillazioni che non siamo in
grado di capire, ma non per questo dissimile da un semplice programma
televisivo.
E questo messaggio, tramite le sue vibrazioni, produce fenomeni che si
trasformano strada facendo. Il messaggio allora potremmo dire che “si evolve”.
Dalle vibrazioni della materia e dell’energia, nascono catene di
galassie, stelle, pianeti, nuovi tipi di materia, gas, la vita stessa,
fino all’uomo, espressione più avanzata di struttura organizzata.
Le forze che sostengono e consentono il cammino e l’evoluzione dei
messaggi non sono altro che le “portanti” tramite le quali è
possibile "modulare" la comunicazione.
Qualsiasi onda ha bisogno di un supporto. Le onde del mare hanno bisogno
dell’acqua per manifestarsi e percorrere un lungo tratto, così come
le onde radio agiscono modulando una frequenza di base.
Noi stessi siamo semplici ricevitori di onde. La vista intercetta e
identifica onde di frequenza luminosa, mentre l’udito è in grado di
decifrare onde di compressione dell’aria, perché questi due tipi di
onde sono fondamentali per la nostra esistenza, così com’è organizzata.
Non siamo, invece, in grado coi nostri mezzi di riconoscere onde di
frequenza superiore a quella della luce, ma sappiamo che esistono e
vanno dalle onde radio, alle microonde, ai raggi X e gamma e via dicendo.
In apparenza ci sembrerebbero fenomeni molto diversi tra loro perché
producono risultati diversi, ma sono tutti figli dello stesso principio:
un’oscillazione nello spazio e nel tempo che si trasmette “spingendo”
in su e in giù le particelle più vicine.
Ecco allora che l’elemento fondamentale che potrebbe caratterizzare l’intero
Universo è proprio il suo messaggio, che si fa strada andando sempre più lontano.
Un messaggio, però, ha sempre un mittente ed ha sempre un destinatario.
Anche una bottiglia nel mare è un messaggio con un mittente e un
destinatario, anche se non sappiamo chi possa raccoglierla e chi l'abbia gettata.
Noi oggi stiamo studiando il messaggio, in tutta la sua complessità, ma
non sappiamo nulla del mittente ed ancor meno del destinatario e
dobbiamo ancora capire se in realtà si tratti proprio di un messaggio.
Siamo forse noi i destinatari o noi stessi siamo parte del messaggio da
veicolare? Comunque sia, se consideriamo l’Universo come un mezzo di
trasmissione di un messaggio, possiamo essere certi che in tutto questo
ci sia una finalità. Ecco “il progetto”.
La ricerca delle spiegazioni ci ha sempre aiutato moltissimo nella
nostra evoluzione. E’ la sete del sapere e del capire che ci eleva ad
esseri superiori, rispetto alla natura di cui contemporaneamente
facciamo parte, ma dalla quale abbiamo preso le distanze non essendone
più totalmente schiavi, visto che siamo l’unica specie che è stata
capace di capire i meccanismi della natura stessa.
Questa è la grande differenza tra la specie umana e tutte le altre
forme di vita, almeno fino a prova contraria. Noi abbiamo acquisito “la
coscienza di noi stessi e la conoscenza del nostro mondo” ed
attraverso questo meccanismo possiamo forse comprendere il contenuto del messaggio.
Non è poco!
Anzi questo pensiero potrebbe condurre i miei ragionamenti a nuove
motivazioni alle quali non avevo mai pensato prima.
L’UOMO
L’uomo nei millenni è rimasto schiavo delle leggi fisiche, ma si è
liberato molto dalle leggi della natura.
Stiamo arrivando persino a decifrare la struttura della vita stessa, il
modo in cui si trasmette e si sviluppa.
Ne stiamo studiando i programmi genetici e siamo già in grado di
manipolarne i codici per produrre modificazioni artificiali.
Sino a ieri gli unici processi evolutivi della natura erano dovuti a
semplici piccoli errori di trascrizione del codice genetico.
Questi errori producevano creature leggermente diverse dai genitori,
come ci ha insegnato Darwin, e dalla differenza poteva derivare un
vantaggio o una limitazione, rispetto all’ambiente in cui si sviluppava la vita.
Se il difetto era positivo la nuova creatura sarebbe stata privilegiata
rispetto ai suoi simili e quindi avrebbe avuto più probabilità di sopravvivere e riprodursi.
In caso contrario l’ambiente l’avrebbe punita per la sua maggiore
vulnerabilità, riducendone le probabilità di riproduzione e quindi di tramandare la sua imperfezione.
Questo principio è molto anomalo, se considerato “errore” nel senso
più semplice del termine, perché le leggi dell’Universo sono invece
di una precisione assoluta. Sconcerta l'idea che proprio alla vita,
la cosa più sublime dell'universo, sia affidata l'evoluzione tramite
errori di copiatura del codice che la identifica!
Nessuna vibrazione, nessuna onda, nessuna reazione può subire un errore
di trasmissione. Noi potremmo osservare coi nostri occhi la luce
proveniente da un campanile per interi secoli, sicuri che in nessun
attimo potremmo ricevere un’onda anomala provocata semplicemente da un errore di trasmissione.
Ci possono essere interferenze d’ogni genere, ma anche queste
rispondenti alle stesse leggi impeccabili di comunicazione. Nel campo
delle oscillazioni, dunque, pare non ci sia il fattore “errore”. Del
resto se ci fosse probabilmente l’Universo non riuscirebbe ad
evolversi come invece possiamo constatare. Le stesse costanti
dell'universo, quelle che ne hanno consentito proprio lo sviluppo, sono
di una stranezza e precisione sconcertanti.
Mentre invece nella scala evolutiva si trasmettono solamente i difetti
di trascrizione genetica più utili e si perdono per strada quelli
dannosi. Nella biologia l’errore è ammesso, anzi, direi è progettato,
mentre nella fisica non lo è (o almeno così mi pare).
Dopo queste considerazioni possiamo riflettere sull’homo sapiens.
L’esperienza condotta durante la nostra vita non modifica in alcun
modo la base informativa dei nostri geni. L’errore, o meglio la
modificazione, avviene solamente al momento della duplicazione delle
cellule o per influenze esterne non volute, come il bombardamento da
raggi X o altro.
Nell’Universo il fenomeno costante che possiamo osservare è proprio
la riproduzione delle reazioni. Si riproduce il tempo e lo spazio, si
riproducono le galassie e le stelle, che seguono su larga scala lo
stesso processo di nascita, crescita e morte di un essere vivente.
Ma in tutti questi passaggi evolutivi non v’è creazione di nuova
materia. L’Universo era e resta un insieme unico di materia
disponibile: un semplice ammasso di particelle, che secondo certe leggi
si possono trasformare, come pezzi di lego opportunamente incastrati tra
loro, più altre energie che partecipano alla realizzazione dei
fenomeni.
La riproduzione consiste unicamente in un passaggio di stato, in un
agglomerato differente di atomi, in un lego molto complesso che si
rigenera da solo.
La nostra nascita non è una nascita nel senso abituale che diamo al
termine. In pratica non si manifesta una presenza di qualcosa che prima
non c’era, ma semplicemente si sviluppa un’organizzazione diversa
della materia, che prendiamo in prestito all’ambiente che ci circonda,
per restituirla in ugual misura alla nostra morte.
Se il messaggio è contenuto nell’Universo, la materia rappresenta la
base di dati che viene trasportata e dunque ne è la sua memoria.
E’ vero, rispetto ad un messaggio normale, che non si trasforma strada
facendo, altrimenti perderebbe il suo contenuto originale, l’Universo
si evolve, si trasforma, cambia persino la sua temperatura e mutano le
forme in esso esistenti, ma se noi pensiamo al tutto anziché alle
singole componenti, resta salvo il concetto di un messaggio (turbolento
fin che si vuole) ma costante nel suo cammino.
LA VITA
Dunque nell’Universo ad un certo punto, non sappiamo precisamente quando, ha origine la vita.
Ma cosa distingue una struttura molecolare che compone un essere vivente
da una struttura che invece compone una montagna o un diamante o un
torrente o un modestissimo granello di sabbia?
Si potrebbero dare tante risposte, ma una su tutte elimina qualsiasi
dubbio: un essere vivente si distingue da tutto il resto perché dispone
di un codice suo interno che gli consente di riprodursi liberamente: il DNA.
Questo è qualcosa che nessun corpo inanimato possiede, assieme alla
capacità di metabolizzare ciò che gli serve per crescere e riprodursi.
Così, per quanto ci è dato di conoscere, nel Cosmo c’è un’infinità
di materia che possiamo definire inanimata e una parte modestissima (non
è detto che sia solo sul nostro pianeta) che chiamiamo esseri viventi e
che vanno dal virus al dinosauro, dal fungo alla sequoia.
Se il primo passo evolutivo dell’Universo è rappresentato dall’inizio
della sua espansione nello spazio-tempo, il secondo passo evolutivo è
la sua capacità di generare nuove stelle e nuove galassie e verrebbe
quasi spontaneo aggiungere per creare le condizioni in cui possano
nascere pianeti in cui alla fine si sviluppino varie forme di materia vivente.
E’ un altro pezzo del progetto... o è TUTTO il progetto?
La nascita del codice genetico, però, pone seri dubbi. Solo se ci
serviamo, come spiegazione, della casualità evolutiva sostenuta da
Darwin e company, riconosciamo possibile che una struttura così complessa come
il codice genetico si sia potuta formare ed evolvere a furia di tentativi casuali.
Ma mi chiedo: c'è stato il tempo sufficiente perché le infinite
combinazioni di atomi e molecole potessero alla fine creare questo
codice o una semplice proteina? Quanto ci impiegherebbe una scimmia ammaestrata a comporre tutte
le lettere dell'alfabeto per arrivare "inconsapevolmente" a
produrre un'opera come l'enciclopedia britannica, che è paragonabile per complessità al codice genetico?
E' credibile la pura casualità? Basta qualche miliardo di anni? Tenendo
conto, poi, che questi tentativi casuali richiedono un ambiente del
tutto particolare per essere svolti (e che ci vogliono pianeti con le
caratteristiche della Terra affinché siano producibili le reazioni
chimiche e fisiche necessarie) è difficile esserne totalmente convinti.
Lasciamo, allora, la domanda senza risposte e procediamo. Ma teniamoci
il sospetto che anche la formazione delle prime strutture di vita abbia
eseguito semplicemente un progetto già scritto nella materia stessa.
La materia inerme, dunque, diventa vita e con il trascorrere degli anni,
(miliardi di anni!) possiamo assistere ad un altro passo evolutivo:
dalle semplici forme di vita prendono consistenza esseri viventi sempre
più dotati d’intelligenza.
L’intelligenza porta la razza umana ad essere consapevole della
propria individualità, ad essere sempre più capace di interagire con l’ambiente
circostante ed usarlo/adattarlo in una certa misura alle proprie esigenze.
Ma l’intelligenza serve anche a sviluppare il pensiero astratto e la
fantasia, l’immaginazione e la capacità di progettare il proprio
futuro. In un certo senso di cambiarlo, il proprio futuro, o addirittura dominarlo.
O siamo invece comandati ad eseguire altri ordini impressi nella materia stessa?
La distinzione tra essere vivente intelligente ed essere vivente non
intelligente è meno evidente della distinzione tra materia inerme e cellule vive.
Sappiamo dare una spiegazione scientifica di cosa sia e dove risieda la
nostra intelligenza, quella che ci fa essere consapevoli di noi stessi,
ma quando affrontiamo questo aspetto ci poniamo a cavallo di due mondi:
da una parte quello fisico, con le sue chiare leggi riproducibili e
comprensibili, e dall'altra quello metafisico, dell'anima, della
consapevolezza del proprio essere, della propria coscienza.
Il ponte tra i due mondi e le capacità di comunicare tra mondo fisico e
mondo spirituale è difficile da concepire e poco esplorato ancora. Ciò
perché gli esseri umani si sono dedicati o all'uno o all'altro e raramente a tutti e due.
Così noi possiamo vedere l'uomo come insieme di cellule vive cooperanti
tra loro e interagenti con la materia circostante, oppure possiamo
vedere l'uomo nel suo insieme, nella sua individualità autonoma. Ma
come comunica la singola parte col tutto?
Anche a questa domanda si sono date risposte molto spesso speculative e
di pura fantasia o si sono avanzate semplici ipotesi non dimostrabili.
Non è facile immaginare come l'astratto possa comunicare col concreto,
se non utilizzando un mezzo che sia comune ai due mondi.
Quante altre cose ancora ci riserva il miracolo di una mente che ha
potuto svilupparsi in modo da consentirci di spingere in ogni direzione
la nostra curiosità e di dare risposte sempre più precise alle innumerevoli domande?
Pensiamo solo per un istante a quanto sia stata difficile la concezione del nostro mondo.
Siamo formiche sperse in un microscopico pianeta del nostro piccolo
sistema solare immerso nella Via Lattea. All’inizio era logico pensare
che la Terra su cui camminiamo fosse la base del mondo e che strani
corpi celesti vi facessero il girotondo, per motivi a noi allora
misteriosi e che abbiamo caricato di significati astrusi.
Sconvolgente la scoperta che non siamo alla base di nulla, ma che anche
noi abitiamo uno di quei corpi celesti tondeggianti che galleggiano sospesi nel vuoto.
Ancora altrettanto rivoluzionaria l’idea che non siamo neppure fermi e
al centro dell’Universo e che non sia proprio il Sole a ruotare
attorno a noi, ma semmai il contrario! Ecco che col passare dei secoli
la nostra consapevolezza di dove siamo si fa più chiara e non c’è
più spazio per le speculazioni di fantasia ed anche le religioni ne
traggono un duro colpo (ma sopravvivono per necessità umana).
Siamo assolutamente convinti delle nostre teorie attuali perché alla
fine ne abbiamo persino avute le prove. Basta guardare una qualsiasi
foto scattata da una impresa spaziale per fugare ogni dubbio su come sia fatto il nostro pianeta.
L’uomo si erge al di sopra della natura e acquista così l’abilità
di comprenderla fin nei suoi più intimi segreti: il Cosmo da una parte e il microcosmo dall’altra.
Con l’evolversi delle conoscenze tecnologiche, poi, arriva a costruire
opere imponenti e mezzi con i quali, sfruttando l’energia che riesce a
ricavare dalla materia che lo circonda, riesce a spostarsi più
velocemente di quanto gli consentirebbero le sue gambe.
E riesce anche a viaggiare con la fantasia, a immaginare, prima, ed
esplorare dopo, i pianeti che lo circondano e gettare lo sguardo fino
nelle massime profondità dell’Universo.
Con le sue capacità di calcolo scopre i meccanismi precisi che regolano
le orbite delle stelle, le forze che sono presenti in tutto il Cosmo e
nello stesso tempo getta un altro sguardo al microcosmo, scoprendo anche
qui un’infinità di meccanismi precisi e dimostrabili.
Non cavalca più la semplice fantasia dei suoi avi, permeata di paure e
di tabù. Ipotizza, calcola, costruisce, verifica e trae conclusioni.
Sta andando sempre più incontro alla più profonda conoscenza del suo
mondo, alla grande sfida. Procede per gradi e commette molti errori
lungo il suo percorso, ma avanza inesorabilmente.
Oggi è giunto persino alla capacità di modificare geneticamente sé
stesso. Tutto ciò genera dubbi e problemi etici. Ma possiamo affermare
che la razza umana –se lo vorrà...e lo vorrà!- potrà in futuro
mutare sé stessa in forme viventi ancora più potenti.
L’uomo non si accontenta più di raccogliere le risorse, come faceva
una volta, né di sfruttarle coltivando i suoi alimenti, o salvaguardare
la sua salute per aumentare la sua longevità. In futuro potrà fare
molto di più ancora. Durante il passaggio attraverso l’era
tecnologica ha imparato a costruirsi strumenti d’ogni genere che lo aiutano in ogni compito.
Ma questi mezzi esigono un grande consumo di energie naturali che il
pianeta gli mette a disposizione in misura limitata. Domani dovrà
imparare a farne a meno o trovarne di nuove, per continuare il suo cammino.
Allora mi domando: è possibile che tutto questo sforzo miracoloso,
frutto delle capacità, della grandezza e dei sacrifici, non abbia altro
scopo che la soddisfazione di una mera curiosità paragonabile a quella
del bambino che apre un giocattolo solo per vedere cosa c’è dentro,
senza sapere come ci si possa divertire?
E’ veramente solo questo il nostro impulso alla conoscenza? E può
essere la ricerca della felicità il nostro sogno? O la felicità
è un segnale che stiamo procedendo verso la giusta direzione, ma il traguardo è di natura diversa?
Cosa farebbe l’uomo se nascesse e morisse costantemente felice?
Cesserebbe d’apprezzare quello stato e cercherebbe qualcosa di
diverso. Non è nell’edonismo che possiamo a mio avviso cercare la causa del nostro destino.
Così come è difficilmente accettabile che tutto l’apprendimento
della vita possa essere utile in uno stadio successivo (cioè da morti), di cui sino ad
oggi non abbiamo acquisito alcuna prova. Certo, resta un'ipotesi che non
possiamo scartare a priori, ma di cui non abbiamo alcuna certezza.
Oppure si può ipotizzare che, tramite esseri intelligenti come noi (ma
lascio sempre aperta l’eventualità di altre specie su altri pianeti)
sia l’Universo stesso ad apprendere e prendere conoscenza di sé
stesso?
In questo caso l’evoluzione umana segnerebbe anche l’evoluzione dell’Universo,
che da materia allo stato potenziale si trasforma fino a diventare
materia consapevole di sé stessa e dunque delle sue capacità e dei
suoi contenuti. E’ la presa di coscienza più ampia che possiamo immaginare.
Ora bisognerebbe affrontare l’aspetto finale della questione.
Se tutte queste premesse, così come sono state esposte, in modo
sicuramente grossolano, ma credo sufficientemente aderenti ai fatti che
conosciamo, sono o non sono il preambolo ad un successivo passo evolutivo.
Forse non siamo ancora preparati o non è necessario che noi si sappia
cosa ci aspetta perché quando sarà il momento tutto avverrà in modo
altrettanto naturale come quando il primo umanoide prese una selce e iniziò ad affilarla.
Forse siamo ad uno stadio evolutivo ancora molto basso.
Sicuramente l’umanità si muove sul suo pianeta senza sentire in modo
così pressante questo destino. Svolge compiti più o meno rudimentali,
soddisfa come può i suoi desideri e cerca di far valere, sempre come può, i suoi diritti.
A volte nel rispetto dei suoi simili, ma più spesso cercando di
dominarli. Quasi come se anche la sua proverbiale aggressività e
stupidità, che così spesso manifesta, fossero anch’esse componenti
irrinunciabili, destinate infine a servire a qualcosa di più elevato
che ancora non si è rivelato ai nostri occhi o alle nostre intuizioni.
O come se i nostri difetti rappresentassero, molto più realisticamente,
quell’area di “errore calcolato”, che è l’elemento instabile
che ha prodotto l’intera evoluzione.
Non c’è un solo atomo nell’Universo che non sia utile e che non partecipi al disegno.
L’Universo non contiene una particella in più o i meno di quante non
gliene servano per essere sicuro che attraverso mille e mille
combinazioni, prima o poi le coincidenze che ne producono lo sviluppo si manifesteranno certamente.
Un caso molto ben calcolato in termini probabilistici!
Il messaggio dell’Universo non sembra destinato a fallire il suo scopo!
DIO
Sono partito dal Creatore per giustificare la nascita dell’Universo e forse
dovrò fare ancora ricorso a Lui per capirne le finalità. Ma il Dio che
ha provocato la nascita del messaggio può essere a sua volta anche il
destinatario? Sarebbe davvero molto strano un fenomeno del genere!
Tra questi due punti della retta siamo noi, che assistiamo e
partecipiamo attivamente al disegno. Ognuno di noi, così come ogni
corpo celeste e ogni microbo può avere una sua più o meno grande
utilità (non predeterminata), ma dipendente dal caso e dalle regole
generali.
Ogni evento che faccia scontrare tra loro due stelle o fecondare un
embrione partecipa al raggiungimento dell’obiettivo di cui ci sfugge
il senso finale. Ma allo stesso modo vi partecipa anche se non produce
lo scontro o la fecondazione proprio di quelle stelle o di quell’embrione.
Tutti i miei ragionamenti mi spingono verso una fede che non è
acquisita con un atto di fiducia iniziale incondizionata verso una
religione, ma come unica possibile deduzione scientifica tratta dal
panorama evolutivo generale che ho indagato.
Una fede che non nasce dal peccato, dall’ignoranza o dalla paura dell’ignoto e
della morte, ma che anzi si illumina proprio dalla consapevolezza della
perfezione e armonia universale.
Le mie modestissime conoscenze sono prese in prestito dal frutto dei
sacrifici, delle lotte di sopravvivenza, delle irrefrenabili curiosità,
della somma d’intelligenze e conoscenze di tutti i nostri avi che
ce le hanno tramandate coi loro scritti.
Io sono qui e penso a tutto questo perché esiste l’Universo e ho a
disposizione il pensiero di tutta l’umanità che mi ha preceduto.
Questo semplice ragionamento dovrebbe farci sentire un grande senso di
responsabilità e di orgoglio, ma credo siano pochi gli esseri umani che
provino questi sentimenti.
Quando ho scoperto che molti illustri scienziati hanno un profondo senso
religioso sono rimasto notevolmente stupito dall’apparente contraddizione.
Mi sembrava impossibile che uomini così abili nel ragionare e così
competenti e rigorosi sul piano scientifico, potessero accettare una tesi così
assurda e non dimostrabile come la volontà divina. Questo atteggiamento
mi sembrava coerente con il carattere del filosofo, ma non con quello dello scienziato.
Ma alla fine dei miei ragionamenti ho capito cosa induca ad un
sentimento religioso anche lo studioso più competente.
La differenza con i credenti è che il Dio che immagina lo scienziato
sfugge alle interpretazioni e strumentalizzazioni che le varie religioni
ne hanno voluto fare e resta un’entità superiore indefinibile nelle
cause e negli effetti. Almeno questo succede a molti uomini di
pensiero che si dichiarano laici.
Quel Dio non possono pregarlo, perché ritengono non abbia alcun potere
verso di loro, così come invece ha avuto il più grande potere verso il tutto.
Non ha potere sulle questioni terrene perché qualsiasi cosa facesse,
Lui, che ne è al di fuori, darebbe una prova di imperfezione. L’Universo
è già stato creato perfetto e non ha perciò bisogno di miglioramenti
o correzioni...strada facendo! Né tanto meno di premi e di punizioni.
L’umanizzazione di Dio è solo una debolezza umana. Il bisogno di
avvicinarsi a Lui è per trovare una spiegazione ai fatti incredibili e
di tentare in un certo senso di corromperlo per alleviare le nostre
sofferenze e le nostre debolezze, oltre alla paura per la nostra estinzione.
In pratica il pensiero religioso serve proprio a questo, abusando del
concetto di Dio e svilendolo a mero fautore capriccioso, crudele o
talvolta generoso, dei nostri destini.
Il nostro destino, invece, lo tracciamo noi, con le nostre capacità e
le nostre volontà, pur dovendo fare i conti con l’eterna casualità,
che forse non è poi neppure tanto "casuale".
Pregare in Dio rappresenta il bisogno di contare su privilegi, aiuti,
comprensione, che in realtà possiamo trovare solo in noi stessi e nei
nostri simili, avvicinandoci a loro col concetto dell'amore e non nel
piegare al nostro volere le leggi dell’Universo.
La grande illusione che Dio ci osservi singolarmente è priva di senso.
Dio è in attesa del completamento del Suo operato, sicuro del risultato.
Possiamo solamente immaginarne l'operato e procedere per la nostra
strada, che sarà ancora lunga e complessa. L’intelligenza e la
consapevolezza di esistere dell’Universo ha bisogno di noi e per
questo il nostro istinto ci fa lottare per la sopravvivenza, ma della
razza nel suo insieme e non del singolo.
Il fatto strano è che l'umanità può intuire di avere uno scopo o
di fare parte di uno scopo, ma non ha alcun elemento ancora per capire
in quale direzione muoversi, pur avendo cercato nelle ultime migliaia di
anni di trovare una finalità alla nostra esistenza. Forse non siamo ancora maturi per questo.
Le religioni dogmatiche oggi appaiono sempre più superate
ideologicamente, anche se il numero dei fedeli resta molto elevato. Le
religioni sono nate quando l'umanità aveva una conoscenza ancora molto
superficiale del mondo e nessuna reale base scientifica.
Basti pensare alle congetture derivanti dalla convinzione che la Terra
fosse una tavola al centro dell'Universo, cui ho già fatto riferimento.
Oggi sappiamo che il nostro pianeta è invece dislocato in un punto non
molto significativo dello spazio. La nostra galassia è simile ad altri
miliardi di galassie e la nostra collocazione al suo interno non è
neppure particolarmente strategica.
Il Cristianesimo ha speculato attorno ad una immagine divina
assolutamente modesta e incongruente, che ha insegnato e tuttora
insegna, la modestia dell'uomo e la sua precarietà, anziché la sua
grandezza e nobiltà d'intenti.
Quella di un Dio inventato dall'uomo, a sua somiglianza e verso il quale
ha proiettato i suoi stessi difetti è un' etica alquanto grossolana e
maschilista, che rispecchia il tempo e la cultura dentro la quale venne concepita.
La spiegazione della creazione dell'uomo, come veniva concepita duemila
anni or sono, non poteva avere una base scientifica e così si dovette
ricorrere all'immagine di Adamo ed Eva, creati da Dio. La biologia,
l'evoluzione della specie e tutto il resto delle nostre attuali
conoscenze scientifiche dovevano ancora venire.
Oggi dobbiamo guardare sempre di più al nostro futuro, confidando
principalmente nei rigori della scienza, che per quanto imperfetta è
sempre notevolmente più affidabile e veritiera di qualsiasi leggenda o semplice atto di fede.
L’UMANITA’
Viviamo in un Universo in cui la materia rappresenta un’eccezione.
Siamo fatti del tipo più raro di materia che esiste, ma abbiamo
conquistato un bene prezioso: l’intelligenza e la coscienza.
E probabilmente è tramite questa dote eccezionale che possiamo
collaborare, più d’ogni altra cosa, al destino dell’Universo.
Il nostro obiettivo, allora, potrebbe essere proprio quello di capirne i
complessi meccanismi, d’impadronircene, per concorrere più d’ogni
altra cosa al suo scopo finale.
La conoscenza può essere la nostra sola missione. E c’è un solo modo
per portarla saggiamente avanti: tramite l’amore.
Osservare le leggi universali e imparare tutti i meccanismi che le
governano ci fa sentire infinitamente piccoli e infinitamente grandi
allo stesso tempo.
Ci fa apprezzare tutto ciò di cui disponiamo e ci dovrebbe fare amare
tutti i nostri simili e tutte le cose, perché chiunque e qualsiasi cosa
è parte integrante nel progetto e dunque in noi.
Potrebbe bastare un atomo in meno o un essere umano in meno, per farci
sprofondare nell’abisso dell’implosione totale.
Noi oggi sappiamo che l’Universo non è destinato a ritirarsi come se
avesse solamente scherzato col suo gioco di invasione e costruzione di
una struttura immensa. Non è così e possiamo guardare avanti con
estrema serenità, nella piena consapevolezza del nostro destino.
Certo l’umanità non è una massa di individui tutti eguali. C’è
chi partecipa senza sapere perché e senza neppure porsi la domanda.
La maggior parte dell’umanità conduce tutta la sua esistenza come
formiche che gironzolano nella stiva di una grande nave, senza sapere
cos'è una nave.
Questa è la nostra realtà apparente e tutto sembra tranquillo e
normale. Osserviamo i nostri vicini di casa che lavano la macchina o
falciano il prato. Vediamo le nostre case rassicuranti e confortevoli, le strade
sottostanti in cui circola il traffico nelle sue molteplici forme.
Ci preoccupiamo del caldo o del freddo che fa, del nostro abbigliamento,
dei problemi dei figli, della politica del nostro paese e delle sciagure
che accadono quotidianamente, della nostra salute e degli svaghi. Siamo
sempre alle prese coi nostri sentimenti di amore e di odio verso il
prossimo e verso noi stessi, in un equilibrio assai precario e
confuso.
E la vita sembra tutta qui: un lento flusso di eventi che più o meno ci
coinvolgono e verso i quali reagiamo come possiamo. Una visione quasi
confortante di un mondo immutabile, che scorre sotto un cielo ora
azzurro ora coperto di nuvole minacciose, in un susseguirsi di stagioni
più o meno tutte uguali.
Tutto questo è pur sempre la nostra stiva. La nave è ben altra cosa e
forse è giusto che le formiche non si preoccupino molto di come sia
fatta e di dove stia andando.
Ma tra queste formiche qualcuna i problemi, invece, se li pone eccome. E
non si accontenta di restare nella stiva trascorrendo una monotona
inutile esistenza.
Questa parte infinitamente piccola di formiche umane, dalla prigione
della stiva, con lo sforzo della propria mente, riesce addirittura a
studiare e capire la carcassa in cui balliamo, fino ad immaginare come
sia fatta l’intera nave, con quali materiali sia costruita e come
faccia a navigare. Anche se non arriva ad afferrare quale ne sia la
meta.
E’ incredibile che questi piccoli esseri viventi riescano a tanto.
Osservandone la vita nella sua irrilevante quotidianità sembrerebbe
proprio impossibile. Ma invece ci sono queste eccezioni.
E col loro contributo la scienza e la conoscenza procedono, talvolta a
piccoli passi incerti, altre volte compiendo enormi balzi in avanti,
come è accaduto negli ultimi due secoli.
E a loro dovremmo dire grazie, perché alzano la media dell’intelligenza
umana, perché ci alleviano le sofferenze e ci forniscono strumenti
tecnologici che possono anche essere molto utili.
Ma c’è anche molta gente che è preda di problemi drammatici di
sopravvivenza. Ed anche questa apparente crudeltà risponde alle leggi
del caso programmato, verso le quali una parte del genere umano sta
comunque cercando di porre rimedio, aiutando i più deboli.
Troppo modesto lo sforzo, non c’è dubbio. Dovremmo fare molto di più
per tutti coloro che da soli non ce la fanno ad avere almeno un’esistenza
dignitosa.
Ma se non raggiungiamo la coscienza globale del genere umano, se non
comprendiamo l’importanza del singolo per comporre quel tutto verso
cui è proiettato il nostro futuro, allora vuole semplicemente dire che
non siamo ancora maturi per quel passo, non abbiamo ancora raggiunto il
giusto livello di saggezza.
Ma arriverà...forse!
Non ci resta che sperare che almeno una parte di noi continui a portare avanti la
famosa fiaccola, con la consapevolezza che l’essere umano non dispone
di soli cinque sensi, ma ne ha un sesto che è rappresentato dalla sua
mente, con la quale può esplorare e comprendere l’intero panorama
astratto dei fenomeni universali.
Ed è solo con quell’occhio aggiuntivo che potrà vedere e tracciare
il suo futuro, a meno che non abbia la sfortuna di precipitare
nuovamente nella vita selvaggia in seguito a qualche immane sciagura.
Ecco, sono arrivato al mio traguardo.
Di più non posso chiedere di capire. Non ne ho le capacità e mi devo
accontentare di sentirmi microscopica parte di un equipaggio della
grande nave che avanza.
Già l’idea che la nostra fiaccola sia parte importante di un
messaggio divino, però, mi soddisfa pienamente!
Autore: Enrico Riccardo Spelta
(Maggio 2003)
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