Il Grande Progetto pag. 1
Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvaggio.
Sostieni l’infinito nel palmo della tua mano e l’eternità in un’ora." (William Blake)
Perché ho deciso di scrivere?
Oggi è il 5 maggio 2003 e L'
ei fu siccome immobile contrasta
molto bene con i pensieri che mi hanno invaso al risveglio e che tutto sono, tranne che immobili!
Al termine della mia prima colazione, accompagnata dalla lettura di una
rivista tecnico-scientifica, le mie riflessioni non si sono fatte da
parte come generalmente succede, per lasciare spazio alle attività di
routine.
Sono uscito di casa ed ho guidato la mia auto, nel modesto tragitto che
mi separa dall'ufficio, continuando a pensare al tema che ha invaso la
mia mente e sapendo d'avere corso grossi rischi di dimenticarmi gesti
consueti (ma non per questo tanto automatici), come ad esempio prendere
la borsa che mi porto avanti e indietro dall'ufficio, oppure infilarmi
la giacca, raccogliere le chiavi e via dicendo.
Dentro di me sentivo maturare lentamente una certa determinazione, che
potrei quasi definire "intuizione profonda", di qual è il
male che mi affligge. Ed ora sono convinto di averlo identificato molto
chiaramente e ciò mi provoca un enorme sollievo e mi dà forza. Gli
ostacoli o i nemici visibili si possono combattere molto più facilmente
dei mali sommersi e oscuri.
Mi dicevo spesso che le mie insofferenze potevano essere il frutto del
mio carattere un po' melanconico e mi sembrava d'avere dato così una risposta
più che plausibile al problema. Ma non ne ero profondamente convinto e
tutti i miei ciclici guizzi di interesse ed eccitazione verso cose nuove
mettevano decisamente ogni volta in discussione questa tesi.
Io non sono "tendenzialmente malinconico". Scendo al livello
di malinconia e di insoddisfazione personale diffusa solo quando non
riesco a tenere vivo il mio interesse per qualcosa di importante. E'
l'assenza di stimoli nuovi, dunque, che mi mette a disagio e mi
intristisce, oltre naturalmente ad annoiarmi in modo per me
inaccettabile.
In altri termini potrei dire che è la mancanza di un obiettivo da
raggiungere che mi affligge. Nella mia vita ho avuto quasi sempre delle
mete per me importanti verso le quali orientare le mie forze, ma negli
ultimi anni questi traguardi (in parte raggiunti e in parte no) sono
venuti a mancare sempre di più.
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Ora sono deciso ad affrontarne uno nuovo. Non è un traguardo materiale,
non riguarda né il lavoro né la mia vita privata, nel senso della sua
impostazione. Riguarda esclusivamente i miei approfondimenti, le mie
riflessioni, le mie conoscenze.
Ho infatti scoperto che c’è un aspetto, sfiorato varie volte, ma
molto superficialmente e senza pervenire ad alcun risultato, che mi
sconcerta. Qualcosa che dovrebbe essere “la cosa più importante in
assoluto” e che mi pare d’avere bellamente trascurato, più o meno
come credo faccia gran parte della gente; cosa che non mi consola, anzi,
mi sconcerta ancora di più.
Mi sembra d'avere viaggiato in un tunnel cieco per un tempo indefinibile
ed ora, finalmente, quasi sul punto della rassegnazione, ho scoperto che
guardando attentamente davanti a me si intravede, senza ombra di dubbio,
una flebile luce. Non sono sicuro che si tratti realmente dell'uscita.
Potrebbe essere un'illusione, chissà, ma il piccolo puntino luminoso
pulsa e cresce lentamente ed io ora so dove guardare, dove tenere fisso
lo sguardo, a cosa aggrapparmi.
Ogni tanto sono risucchiato nel buio che mi circonda e distratto dalle
interferenze della vita quotidiana, ma anche nei momenti di maggiore
impegno in questi giorni sento la presenza di quella debole luce che mi
chiama. La mia uscita è là, ho un chiaro riferimento. E' l'embrione
del "mio" progetto.
I risultati di questa consapevolezza sono già tangibili. Mi muovo tra
le persone, le saluto, parlo, interagisco meccanicamente allo stesso
modo di tutti i giorni precedenti, per cui sicuramente nessuno si può
accorgere del mio cambiamento, ma le mie sensazioni non sono le stesse,
il modo di vedere è diverso. Ho capito dove indagare, su cosa voglio
orientare il mio interesse, cosa voglio capire. Le distrazioni
inevitabili del momento lavorativo non ne offuscano la presenza.
Che cosa mi attragga e mi ecciti è presto detto: un pensiero sornione e
ingombrante che mi ha convinto ad indagare, pur con i miei modesti mezzi
culturali e intellettuali, sulla domanda più grande in assoluto che un
essere umano possa affrontare: qual è il senso della vita?
Non della mia vita. Sono perfettamente consapevole di rappresentare una
parte infinitesimale. La domanda è molto più generale.
Non è la prima volta che me lo chiedo e non sono l’unico essere umano
a chiederselo, ma questa volta mi sento di affrontare l’arduo quesito
coinvolgendo tutte le mie capacità, senza risparmio e senza riserve,
fino ad arrivare –possibilmente- ad una riposta soddisfacente.
La domanda è del genere assoluto e non può accontentarsi di risposte
semplici, come il ricorso alla fede. Passerò in rassegna lo scenario completo che si presenta
davanti alle mie facoltà mentali e con queste cercherò di tracciare
delle ipotesi, alla ricerca, forse, della più plausibile.
E’ strano osservare la gente nel suo frenetico stile di vita delle
grandi metropoli, così come nella quotidiana lotta per la sopravvivenza
nei paesi più poveri, o nell’isolamento spirituale della preghiera, o
ancora impegnata in guerre senza fine e scoprire che se fermassimo uno
qualsiasi di questi esseri umani e gli chiedessimo perché si comporta
in quel modo, quale pensa che sia il suo destino e quello di tutta l’umanità
e dell’Universo intero, a cosa crede possa servire la sua vita, non
otterremmo alcuna risposta o al massimo ci sentiremmo dire le solite
banalità o guardare con stupore e diffidenza, come fossimo dei preti o
dei fanatici di qualche setta, che è poi più o meno la stessa cosa.
Ma la domanda sul senso della vita, nei millenni di storia dell’uomo,
è emersa in tutti i modi ed ha trovato mille risposte, anche se
principalmente da parte di pochi grandi filosofi, che non rappresentano
certamente l’intera umanità e che hanno dato versioni interessanti,
ma fantasiose e poco convincenti, spesso basate su una povera conoscenza
di tutto lo scenario cosmico.
La gente normale sente quasi un rigetto istintivo verso questo enigma e
si rifugia in risposte affrettate o dettate dalla propria fede o dal
proprio ateismo, pur di accantonare in fretta l’argomento. Così ci
sentiremo dire che la vita “è un dono di Dio, di cui dobbiamo
rispettare le leggi”, oppure che “la vita non ha senso” o ancora
che “non è possibile dare alcuna risposta” o ancora che "la
vita è rappresentata dal procreare".
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Altri ci diranno che lo scopo della vita è “la nostra felicità”,
oppure che “consiste nell’aiutare il nostro prossimo”. Seguendo
altre dottrine la vita viene vista come una tappa del nostro percorso
che si realizzerà compiutamente solo nell’aldilà.
Ciò che io invece vorrei esplorare va ben oltre questa domanda, come
dicevo. Il problema non può essere ristretto a trovare una
giustificazione del significato dell’esistenza del genere umano.
Noi umani siamo solamente una parte del fenomeno vita e sotto questo
aspetto per nulla diversi da tutti gli altri esseri viventi che popolano
il nostro pianeta, no? E’ allora possibile che la vita nel suo insieme
abbia un significato unico, oppure la specie umana ha una missione
particolare da compiere?
E perché mai non ci potrebbero essere altre forme di vita intelligente
su altri pianeti che stiano ponendosi la stessa domanda?
Noi potremmo essere legati a loro dallo stesso destino, così come siamo
legati a tutte le altre forme di vita del nostro pianeta ed a tutta la
materia che lo compone.
Quindi anche l’intera materia ed energia del Cosmo potrebbero avere un
loro scopo e concorrere verso una stessa meta, sempre che una meta ci
sia.
Autore: Enrico Riccardo Spelta
(Maggio 2003)
continua a pag. 2...