Computer e mente umana
Ipotesi di future connessioni tra una rete di computer e una rete neuronale
Mi domando spesso cosa sia realmente un computer e, mettendo da parte la mia austera veste professionale con la quale rischierei di esprimere solo giudizi di parte, ne ripercorro la non più tanto breve storia evolutiva.
Ogni volta che lo faccio, la prima cosa che mi torna in mente è una tabella tratta da un vecchio libro di cibernetica che tentava una semiseria classificazione del livello d’intelligenza delle macchine.
La cosa straordinaria che mi aveva colpito allora era che proprio i computer erano piazzati verso gli ultimi posti della graduatoria, mentre in cima ad essa trionfava il meccanismo dello sciacquone dei gabinetti!
Il motivo era abbastanza semplice: la graduatoria teneva in massima considerazione l’autonomia di una macchina e le sue capacità di autoregolarsi e, almeno sotto quest’aspetto, lo sciacquone risultava assai più autonomo ed autosufficiente di un computer.
La tabella, però, risale ad almeno trent’anni fa.
Oggi, con il progredire degli studi sull’intelligenza artificiale e con la potenza elaborativa di cui possiamo disporre, si può certo affermare che il computer può avere, almeno in certe applicazioni industriali o sperimentali, una buona capacità di autoregolazione, apprendimento e correzione degli errori, cioè in altre parole, è sempre più una macchina capace d’imparare e che sicuramente
batte tutti gli sciacquoni del mondo.
Ma ciò non basta ancora a definirla dotata d’intelligenza.
D’altro canto dobbiamo anche pensare che nella maggioranza dei casi d’impiego se il computer fosse anche intelligente non si avrebbe alcun vantaggio, dato il genere d’attività che gli facciamo svolgere!
Anzi, come in molti lavori umani, una componente d’intelligenza posta in un computer andrebbe a discapito della sua affidabilità e continuità operativa, così come un operaio troppo ricco d’immaginazione, fantasia e senso critico, finirebbe presto col rifiutare determinati lavori, troppo stupidi e ripetitivi.
La macchina è dunque paragonabile ad uno schiavo moderno, che deve ubbidire senza mai contraddirci o protestare, farci sentire costantemente superiori e non darci alcun rimorso, come invece poteva accadere (ma forse non succedeva) nei rapporti con gli schiavi autentici.
L’uomo, nel suo primo approccio con un terminale, manifesta sempre una certa apprensione, che denuncia la sua intima paura di rivelarsi più stupido della macchina che gli sta di fronte. E molto spesso non dico che ciò risulti vero, ma almeno in apparenza può sembrare che lo sia.
Ciò dipende dall’ermetismo del computer, che si esprime solo tramite le poche frasi che i programmatori ritengono di dover includere nei loro programmi e dal gergo troppo spesso farcito di termini tecnici o abbreviazioni, comprensibili solo a chi li ha scritti e non già all’utente finale del servizio.
Per l’incompetente, poi, il computer è pur sempre un oggetto carico di mistero, e si sa che l’uomo non si sente mai a suo agio di fronte al mistero.
Vi posso anche assicurare che queste macchine sono (molto più spesso di quanto si creda), cariche di mistero anche per gli stessi specialisti che se ne occupano, data la loro irraggiungibile complessità interna!
Del resto non esiste più la capacità ed il tempo materiale per un tecnico di approfondire tutti gli aspetti del funzionamento di un computer. Ognuno ne conosce solo una parte e quando vi ha ben preso confidenza, si trova nella necessità di passare ad un nuovo modello o sistema di programmazione, che lo farà ripiombare nella frustrazione dell’ignoranza e nella fatica dell’apprendimento
iniziale.
Mentre i primi calcolatori erano adibiti quasi esclusivamente ad operazioni di tipo matematico e statistico, negli ultimi quarant’anni il loro campo d’impiego è stato ampliato ai più disparati settori applicativi.
Sta succedendo un po’ ciò che è capitato all’Uomo: da un ceppo primitivo sono derivate varie razze, ognuna con particolari caratteristiche. E come nella storia dell’Uomo, anche per i computer il futuro presenta forme parallele d’integrazione, dopo aver sofferto di crisi razziste, che in questo campo si definiscono come mancanza di standardizzazione e incompatibilità tecnologiche.
Verrà un giorno in cui i vari sistemi elettronici andranno tutti d’accordo e collaboreranno pacificamente nell’interesse dell’umanità, che resterà a lungo la padrona assoluta e indiscussa, in barba ai vari Cassandra della fantascienza che prevedevano inarrestabili ribellioni di androidi.
Queste rivolte in pratica si sono già manifestate e continuano a presentarsi in modo anche assai grave e diffuso, ma non dipendono dal carattere sovversivo delle macchine, bensì dallo spirito vendicativo o dal vandalismo di alcuni programmatori che si divertono ad inserire e diffondere istruzioni anomale, per il gusto di far fare cose imprevedibili e sempre dannose alle suddette macchine.
Questo fenomeno, sempre per il gusto del parallelismo con il corpo umano, ha preso il nome di “virus”, anche se non ha nulla a che fare con l’influenza o la peste.
Il progresso tecnologico porterà molto rapidamente i computer a livelli oggi quasi inimmaginabili.
Le dimensioni e le caratteristiche fisiche di un microprocessore si avvicineranno sempre più a quelle dei nostri neuroni presenti nel cervello.
Si parla già (e si sperimentano) di componenti che al posto del silicio usano materiali biologici, quindi non sto invadendo la fantascienza, ma solo accennando a quello che sarà possibile da qui a pochi anni.
A questo punto non ci vuole un grosso sforzo di fantasia ad ipotizzare che sarà presto possibile concepire anche nuove forme di protesi, tra cui, per esempio, una protesi cerebrale, composta da un insieme di processori che verranno collegati alle cellule “vere” del cervello.
Per fare? Beh i campi d’utilizzo li lascio alla vostra immaginazione.
Certo è che il fascino del superuomo - macchina o, se preferite, possiamo già battezzarlo “uomo cibernetico” - non lascerà indifferente l’umanità, se non vogliamo dimenticare che rincorre da sempre il desiderio di imitare Dio.
Già ai nostri giorni sono apparsi diversi film il cui protagonista è un uomo-macchina dalle capacità immense.
E allora non è poi tanto difficile pensare che si potrebbe integrare nel nostro cervello un intero computer, corredato di tutte le funzioni che ci possono servire, nonché una banca dati, più attiva ed efficiente della nostra precaria memoria.
Non già un androide, dunque, a cui delegare determinati compiti, ma un essere umano a tutti gli effetti, “potenziato” con questa incredibile aggiunta di circuiti.
Qualche connessione con i neuroni più vicini, ed il collegamento è fatto!
A questo punto, per dovere di fantasia, posso anche immaginare che con un microscopico circuiti WI-FI, posto anch’esso nella scatola cranica, sia possibile collegare direttamente la nostra mente con un grosso computer esterno e scambiare direttamente informazioni con la rete e con qualsiasi banca dati.
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Ciò significa poter assimilare una lingua nuova in qualche minuto, imparare a fare certi calcoli molto complessi “a mente”, avere una Treccani sempre disponibile nel cervello ed il tutto senza alcuno sforzo d’apprendimento!
Addio scuole ed insegnanti. Un bambino, giunto all’età di dieci anni, subirebbe quel piccolo intervento per l’inserimento della protesi e subito dopo gli si potrebbe memorizzare tutto ciò che riteniamo utile insegnargli.
Fatto questo, il bambino sarebbe già in grado di esprimersi come un professore pluri laureato.
Le opinioni su questa ipotesi possono essere soltanto due: “affascinante” oppure “mostruoso”.
Se penso a quanti danni provoca l’ignoranza nel mondo, dovrei associarmi a quanti direbbero “affascinante”.
Ma se immagino la testa di un bambino di dieci anni riempita con la Treccani e tutto il resto, provo semplicemente orrore.
Che ne sarebbe della sua spontaneità e ingenuità, che spinge gli adulti a tenerezza e affetto? Si può diventare adulti in un sol giorno?
Beh è anche vero che Napoli, per esempio, è piena di bambini già adulti a dieci anni, anche senza la protesi di cui si parlava.
Tutte le innovazioni tecnologiche e le scoperte scientifiche non sono buone o cattive a priori, ma dipendono dall’uso più o meno saggio che l’uomo ne riesce a fare, e penso che anche questa ipotesi sia considerabile in tal modo. Fino ad oggi, comunque, l’uso saggio è sempre stato perdente.
La connessione computer-mente umana sarebbe anche di grande utilità in campo medico diagnostico, per monitorare a distanza tutti i parametri vitali di una persona e poter intervenire con la massima rapidità in caso di problemi.
Se la saggezza umana fosse dipendente solo dalla conoscenza e dalle esperienze acquisite, un simile futuro, composto da uomini cibernetici, non sarebbe poi tanto deprecabile. Saremmo sempre
connessi col mondo intero.
Non dimentichiamo che se avessi scritto cento anni fa l’ipotesi di trapianto di un cuore artificiale o semplicemente la possibilità di inserire un pace-maker nel petto di un uomo, le reazioni di disgusto avrebbero potuto essere analoghe, mentre oggi accettiamo con orgoglio questa recente conquista della tecnologia.
Autore: Enrico Riccardo Spelta
(2018)