Sorgiva: luce riemersa:
foglie bruciano rosee.
Giaccio su fiumi colmi
dove son isole
specchi d'ombre e d'astri.
E mi travolge il tuo grembo celeste
che mai di gioia nutre
la mia vita diversa.
Io muoio per riaverti,
anche delusa,
adolescenza delle membra
inferme.
Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d'alberi e d'abissi.
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d'una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.
Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:
E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.
Ed è morte
uno spazio nel cuore.
Dammi il mio giorno;
ch'io mi cerchi ancora
un volto d'anni sopito
che un cavo d'acque
riporti in trasparenza,
e ch'io pianga amore di me stesso.
Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d'astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;
un incurvarsi d'orbite segrete
dove siamo fitti
coi macigni e l'erbe.
Tu vieni nella mia voce:
e vedo il lume quieto
scendere in ombra a raggi
e farti nuvola d'astri intorno al capo.
E me sospeso, a stupirmi degli angeli,
dei morti, dell'aria accesa in arco.
Non mia; ma entro lo spazio
riemersa, in me tremi,
fatta buio ed altezza.
Libri di Salvatore Quasimodo |