Biografia e vita di Piero della Francesca (1412ca-1492)
Piero della Francesca, il cui vero nome è
Piero di Benedetto de' Franceschi, è nato tra il 1412 ed il 1420 a
Borgo San Sepolcro (oggi
Sansepolcro), nell’alta Valle Tiberina, ai confini tra Toscana e Umbria, in una famiglia di commercianti e tintori.
Non ci sono notizie sulla sua vita e quindi non si sa a che tipo di studi abbia seguito, mai dato il periodo storico si suppone che Piero della Francesca, conoscesse bene le tecniche pittoriche usate dai pittori del suo tempo
e dei Maestri del Trecento (
Pittura Gotica).
La prima notizia ufficiale ci dice che, nel 1439, esegue gli affreschi (perduti) delle
Storie della Vergine per il Coro di Sant'Egidio, insieme al maestro
Domenico Veneziano dal quale impara la realizzazione di una pittura chiara e luminosa oltre che nozioni di prospettica.
Toscano di nascita e di carattere, Piero della Francesca, pur abitando ad Arezzo, viaggiò molto in tutta l’Italia centrale, lavorò a Ferrara alla Corte degli
Estensi, a Rimini dai
Malatesta, a Urbino alla corte dei
Montefeltro ed a Roma, per i
Pontefici Niccolò V e di Pio II, ma
nel 1442, si trova certamente al suo paese natale, dato che risulta da documenti storici che concorre per la carica di Consigliere Popolare.
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Nel 1445 il pittore
Piero della Francesca firma un contratto con la
Confraternita della Misericordia che gli commissiona il grande
Polittico della Misericordia da realizzare in tre anni; in realtà il pittore, conteso dalle corti più
ricche, colte e raffinate d'Italia, ne impiega quindici.
Il Polittico della Misericordia è composto da 23 scomparti alcuni dei quali, come la predella, sono dipinti da aiutanti del pittore.
Contemporaneamente ai primi pannelli del polittico, Piero eseguì il
Battesimo di Cristo, che oggi si trova
a Londra alla
National
Gallery; in questo dipinto la trasparenza dell'atmosfera, la chiara luminosità del paesaggio rievocano le opere di Domenico Veneziano e
del
Beato Angelico, la prospettiva rigorosa il cui perno centrale è costituito dalla figura
del Cristo conferisce all'opera quel certo equilibrio e quell'armonia tipica delle opere del pittore.
Il senso del volume, la plasticità dei corpi ci mostrano l'influenza di
Donatello, mentre la pala
posta a coronamento del polittico è chiaramente ispirata alle opere del
Masaccio.
Già le prime opere, quelle prima del 1450, rivelano il carattere dell'artista e delle sue opere: struttura prospettica rigorosissima,
perfezione dei volumi geometrici, rappresentazione di figure grandiose immerse in un'atmosfera dalla luminosità diffusa, sottile quasi
astratta che mantiene i personaggi come sospesi nel tempo.
Nel 1451 Piero della Francesca è alla corte di Rimini, dove, nel già
famoso
Tempio Malatestiano, realizza all'affresco votivo col ritratto di
Sigismondo Malatesta.
Nel girovagare del pittore attraverso le corti e le chiese d'Italia, alla morte di Bicci di Lorenzo, Piero fu chiamato ad Arezzo per
completare gli affreschi del
coro di San Francesco, rappresentanti la
Leggenda della vera
Croce le cui scene sono caratterizzate dalle monumentali figure che appaiono come statue costituite da forme geometriche pure sulle
quali i panneggi formano giochi raffinati, mentre i volti non tradiscono emozioni particolari.
Tra le opere più importanti del pittore c'è la tavoletta rappresentante la
Flagellazione eseguita negli
anni tra il 1455 e il 1460 a Urbino.
La composizione è divisa in due scene mediante una colonna, sulla destra, al centro del gruppo è raffigurato Oddantonio da Montefeltro,
fratellastro di Federico, che fu assassinato durante una congiura, mentre la scena sulla sinistra, rappresentante la
Flagellazione che potrebbe essere un'allusione al martirio subito dal giovane principe.
A Perugia, nello stesso periodo, Piero della Francesca affresca
una tavola del
polittico di Sant'Antonio delle Monache, rappresentante
l'Annunciazione; nella Residenza (il Palazzo Comunale) di Sansepolcro (oggi
sede del Museo Civico) dipinge la straordinaria
"Resurrezione" nella Sala dei Conservatori e nella
Cappella del Cimitero di Monterchi affresca commovente
"La Madonna del Parto".
Piero della Francesca realizza quest'ultima opera, di più di due metri di lato, in sole sette
giornate di lavoro, usando colori naturali fra i quali lo splendido
e costoso blu oltremare (lapislazzulo) e nella quale si nota, come in tutte le sue opere, l'estrema
attenzione all'organizzazione prospettica, la semplificazione geometrica
dei volumi e l'uso razionale dei toni per evitare forti contrasti.
Fra i suoi viaggi di lavoro c'è anche Roma, dove esegue affreschi in Vaticano per papa
Nicolò V e poi per il
successore
Pio II; purtroppo, di questi lavori non resta traccia, demoliti per far posto a quelli
eseguiti in seguito da
Raffaello,
mentre rimane la volta della
cappella di San Michele.
Nel corso degli anni sessanta e settanta Piero della Francesca lavora spesso alla corte di Urbino per il
duca
Federigo di Montefeltro, per il
quale lavorano altri pittori come Francesco Laurana, Donato Bramante, Luca Pacioli,
Paolo Uccello,
Melozzo da Forlì e dai fiamminghi
Pedro Berruguete e
Giusto di Gand.
In questa particolare atmosfera realizza alcune delle sue opere più celebri: il dittico con
i ritratti dei duchi, Federigo e la
moglie Battista Sforza (Firenze, Galleria degli Uffizi), la celebre
Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche), una vera e propria summa delle sue indagini
sulla prospettiva, nonché la
Sacra Conversazione per la chiesa di
San Bernardino (Milano, Pinacoteca di Brera), con il celebre
ritratto in armatura del duca Federigo (1472-74): un dipinto
rivoluzionario che rompe con la tradizione medievale del polittico a
scomparti per proporre il concentrato
dialogo tra la Vergine e i Santi in uno spazio prospetticamente unitario in diretto
rapporto con lo spettatore.
In questi dipinti dell'estrema maturità del pittore, cui si devono aggiungere anche l'intima
Madonna di
Senigallia (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) e la
poetica
Natività di Londra (
National
Gallery), dove Piero della Francesca rivela un interesse sempre più profondo per la
Pittura
Fiamminga che si manifesta nella più complessa tessitura cromatica e
nell'osservazione minuziosa della realtà oltre che nella luce che non arriva dall'esterno, ma si irradia dal viso e dal
corpo dei soggetti raffigurati.
Dal 1475 in poi la attività di Piero della Francesca sembra arrestarsi.
Secondo
Vasari la causa è una malattia agli occhi, ma è probabile che il
pittore si sia dedicato alla scrittura, lasciando ai posteri tre libri
scientifici iniziati a Roma vent'anni prima.
In quel periodo aveva copiato ed illustrato il trattato di Archimede sulla spirale: il "
Trattato
dell'Abaco", una sorta di manuale di matematica elementare
come quelli in uso nelle scuole d'abaco.
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E poi il "
Libellus de quinque corporibus regularibus", dedicato a Guidobaldo
duca di Urbino e pubblicato da Luca Pacioli, dopo la morte dell'artista, come opera propria, infine la fatica maggiore, il "
De
prospectiva pingendi", trattato ricco di disegni per insegnare ai pittori i segreti della
prospettiva, per ridurre alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche, l'infinità varietà degli oggetti.
Piero della Francesca muore il 12 ottobre del 1492, nel suo paese natale.
Poco dopo la morte, la sua opera venne dimenticata, se si eccettuano il
profilo che gli dedicò Giorgio Vasari nelle due edizioni delle sue Vite
(1550, 1568) e i ricordi per la sua attività di teorico della
prospettiva, contenuti in alcuni trattati cinquecenteschi di architettura.
La nuova stagione della «
maniera moderna»
con i suoi protagonisti,
Leonardo,
Raffaello
e
Michelangelo,
fece apparire Galleria opere d'arte dei grandi maestri del Quattrocento vecchi e superati.
Solo verso la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento con la nuova
correnti dei pittori
"Pre-Raffaeliti" storici ed estimatore dell'arte riscoprirono Piero della Francesca.