“L’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità”.
Pablo Picasso
Questa celebre frase del grande artista Pablo Picasso ben si addice a uno splendido capolavoro dell’arte custodito al Civico Museo Archeologico di Milano: la Diatreta
Trivulzio.
L’arte è una delle medicine più potenti per sfuggire, a volte, dal grigiore della vita quotidiana.
Gli antichi romani amavano il lusso e la bellezza degli oggetti di uso quotidiano o rituale, una bellezza senza tempo ben visibile oggi in tutti i vari reperti archeologici
in vetro o altri materiali trovati durante gli scavi in tutte le zone d’Europa e del mondo che facevano parte dell’immenso Impero Romano.
STORIA
La diatreta fu ritrovata, durante lavori di aratura dei campi, nella zona tra Castellazzo Novarese e Mandello Vitta in provincia di Novara.
Faceva parte del ricco corredo funerario di un personaggio vicino alla corte imperiale dell’antica Mediolanum, il cui corpo era stato deposto in un sarcofago.
Un tale oggetto di lusso poteva appartenere solo a persone importanti di alto rango nella Mediolanum che fu capitale dell’Impero romano dal 282 al 406 DC.
Oltre alla diatreta furono rinvenuti altri oggetti, poi andati persi.
Con la morte del primo proprietario della coppa, il nobile Everardo Visconti, la diatreta fu proposta in vendita, da un importante antiquario dell’epoca, all’abate Marchese
Carlo Trivulzio, un milanese dotto collezionista d’arte che la acquistò nel 1777.
Don Carlo Trivulzio è stato il più importante collezionista d’arte del Settecento, un uomo molto ricco appartenente al nobile casato dei Trivulzio.
Oltre ad essere un collezionista d’arte, era anche un eccellente numismatico con una vasta raccolta di antiche monete, specialmente romane.
Oggi i pezzi della sua collezione numismatica sono dispersi tra vari Musei del mondo e collezioni private.
La splendida coppa di finissima lavorazione andò quindi ad arricchire la collezione della famiglia Trivulzio.
Il prezioso oggetto acquisì una fama immediata dopo essere stato descritto nella “Storia delle arti del disegno presso gli antichi “ scritto nel 1779 dal notissimo
storico dell'arte e archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann, il quale aveva potuto osservare da vicino l'oggetto che il
Trivulzio aveva già descritto nel suo manoscritto “Osservazioni di Carlo Trivulzio Patricio Milanese intorno all’antica tazza di vetro”.
L'oggetto fu infine acquistato dal Comune di Milano nel 1935 mediante una sottoscrizione pubblica cui parteciparono moltissimi cittadini milanesi ed esposto presso l'attuale
sistemazione nel Museo Archeologico, Sala Milano Antica.
DESCRIZIONE
La coppa diatreta è una tipologia di contenitore in vetro romano, oggetto di lusso, diffusosi intorno al IV secolo
dopo Cristo circa, e considerato il vertice della lavorazione del vetro da parte degli antichi romani.
I romani erano dei veri artisti dell’arte vetraria, superando qualsiasi altra produzione al mondo, nella tecnica e nell'inventiva delle forme e dei soggetti, ma soprattutto
nella bellezza delle esecuzioni.
Nel corso del IV secolo DC gli artisti artigiani romani ebbero una nuova idea che dette vita a un nuovo filone artistico: riscoprirono la tecnica della foglia d’oro,
graffita racchiudendo tra due strati di vetro incolore una foglia d’oro incisa con scene mitologiche, motivi cristiani o altro, creando dei medaglioni da inserire nella base di tazze e di altri
recipienti.
A Colonia Claudia Ara Agrippinensium, l’odierna Colonia in Germania, esistevano specializzati intagliatori del vetro, che produssero gli
esemplari intagliati più famosi dell'antichità, le coppe chiamate diatreta, autentici capolavori senza tempo del passato e del presente.
Tra frammenti e pochi esemplari quasi completi, appena cinquanta coppe diatrete si sono conservate. La maggior parte possiede una gabbia con decorazioni geometriche circolari, spesso con
un’iscrizione composta di lettere poste nel reticolo. Ancora più rare sono le coppe con decorazioni figurative, tra le quali la Coppa di
Licurgo, conservata al British Museum.
La coppa Trivulzio si compone di due parti: un contenitore interno a coppa e una gabbia esterna che lo racchiude. La coppa, mancante del piede, è in vetro incolore con
toni verde smeraldo, nocciola chiaro e azzurro intenso. Questi colori si notano maggiormente quando la luce colpisce la coppa.
Il vetro appare soffiato o colato dentro stampo, intagliato e molato all'oro; l’incisione, l’intaglio e la molatura sono tecniche decorative del vetro realizzate a freddo, ossia a cottura
ultimata.
La gabbia esterna presenta una rete di quattro file di maglie in vetro blu intagliate, sfumate superiormente con vetro color nocciola e legate da eleganti motivi a nastro. È collegata al
contenitore tramite sottili ponticelli in vetro.
Al disotto del labbro, in caratteri prominenti e staccati dal fondo in vetro, tutto intorno gira sulla coppa l’iscrizione in lingua latina a lettere maiuscole: BIBE VIVAS MULTIS ANNIS (bevi
e che tu possa vivere molti anni), acclamazione conviviale che, secondo gli studiosi, i romani avevano l’abitudine di inserire su tazze e coppe da convito, pranzi solenni e sontuosi cui prendevano
parte più invitati del ceto aristocratico romano.
Tutti gli studiosi convergono che la maestria e la tecnologia, utilizzate per creare questi capolavori raffinati, sono indubbiamente avanzatissime e difficilmente riproducibili oggi.
Di certo, un simile gioiello uscito dalle botteghe di geniali artisti artigiani, merita una visita al Museo Archeologico di Milano.
Articolo scritto da Rosa Maria Garofalo