Storia della Madama Butterfly di Giacomo Puccini
Madama Butterfly è un'opera in 2 atti di
Giacomo Puccini
su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, denominata originariamente "tragedia giapponese in due atti".
Puccini non aveva visitato il Giappone anche se il viaggio faceva parte delle esperienze esotiche di moda a fine '800,
ma gli capitò di assistere a New York, nel marzo del 1900, al dramma Madame Butterfly messo in scena da David Belasco.
La tragedia in un atto di Belasco, era tratta a sua volta da un racconto dell'americano John Luther Long che aveva raccolto in una piccola storia i racconti della sorella tornata da un soggiorno in Giappone ed apparso, nel 1898 con il titolo di Madam Butterfly.
Giacomo Puccini, senza capire una parola della recitazione perché non conosceva l'inglese, fu tanto colpito dalla vicenda intima dei protagonisti,
dalla carica emotiva, dall'ambientazione esotica, che decise di trarne un'opera lirica.
Questa sarebbe stata la sua sesta opera dopo Le Villi, Edgar, Manon Lescaut, La Bohème e Tosca.
Giacomo Puccini cercò di reperire le informazioni più particolareggiate sul Giappone, i suoi costumi e persino le sue musiche: voleva scrivere un
opera giapponese, e ci riuscì tanto che i Giapponesi l'hanno ritenuta da subito propria.
Tramite la moglie dell'ambasciatore giapponese trascrisse alcune melodie di canzoni native, ascoltò dischi giapponesi e si fece correggere i nomi
dei personaggi per renderli più realistici.
La sera del 17 febbraio1904, al Teatro Alla Scala di Milano, dove si rappresentò, Madama Butterfly cadde clamorosamente.
Di fronte all'incredibile fiasco Giacomo Puccini riprese in mano il libretto, alleggerì le scene, modificò alcune arie e ripresentò Madama Butterfly a Brescia al Teatro Grande il 28 maggio dello stesso anno e da quel giorno iniziò la sua seconda, fortunata esistenza.
Il Maestro Puccini in seguito ritoccò ancora gli effetti scenici per le rappresentazioni del 1906 al Covent Garden di Londra ed al Theater National de l'Opèra-Comique di Parigi.
Nel 1920 Puccini tornò nuovamente sulla partitura, ripristinando nel primo atto un assolo di Yakusidè, lo zio ubriacone della protagonista, ma
l'editore Ricordi non pubblicò mai la nuova versione.
Atto I
Scena Prima: Una casa con giardino sulla collina di Nagasaki che Pinkerton ha comprato per la giovane sposa.
Benjamin Franklin Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti, accompagnato da Goro, sensale di matrimoni, visita divertito la casa che ha
appena acquistato: sta per sposare una giovanissima geisha, Cio-Cio-San, procuratagli appunto da Goro.
Giunge intanto Sharpless, Console Americano, al quale Pinkerton espone, conversando davanti a un bicchiere di whisky,
la sua cinica filosofia di «yankee» che vuol godersi la vita, sprezzando rischi e sentimenti altrui. S’è invaghito delle
ingenue grazie di Cio-Cio-San e intende ora sposarla secondo il rito giapponese, per novecentonovantanove anni, salvo a prosciogliersi ogni mese.
Sharpless gli fa un garbato rimprovero, lo invita a riflettere, ma alla fine alza il
bicchiere con Pinkerton che brinda al giorno in cui si sposerà con una vera sposa americana.
Dal sentiero che si inerpica sulla collina giunge Cio-Cio-San col corteo nuziale.
Il console le rivolge qualche domanda, Cio-Cio-San dice di essere nata a Nagasaki da famiglia un tempo assai prospera, poi finita in miseria,
motivo per cui è stata costretta a fare la geisha.
Vive sola, con la mamma e quando gli viene chiesto del padre si rabbuia rispondendo soltanto che è morto.
Il tono di Butterfly cambia quando le viene chiesta l’età, si diverte fanciullescamente a farla indovinare, poi dichiara maliziosa i suoi 15 anni.
«L’età dei giochi», commenta Sharpless con tono severo verso Pinkerton.
Giungono la madre e gli altri parenti per la cerimonia e Pinkerton, osservandoli insieme al Console, fa commenti sarcastici.
Sharpless lo esorta ancora a pensarci bene prima di affrontare il matrimonio: «Badate, ella ci crede!»
Intanto, presentati i parenti, Butterfly trae in disparte Pinkerton per mostrargli alcuni oggetti che ha portato con sé in dote: dei fazzoletti, una
pipa, una cintura, uno specchio, un ventaglio, un vaso di tintura per il trucco tradizionale.
Mostra infine un astuccio lungo e stretto, ma alla richiesta di Pinkerton di vedere cosa contiene, essa lo ripone in tutta fretta,
dicendo che c’è troppa gente intorno.
Si avvicina Goro e spiega sottovoce che si tratta della lama con cui il padre si è suicidato su "invito" dell’Imperatore.
In attesa dell’inizio della cerimonia, Cio-Cio-San confessa a Pinkerton, a dimostrazione della sua devozione,
di essere salita il giorno prima alla Missione per rinnegare la sua fede e farsi cristiana.
Si celebrano finalmente le nozze, il console e i funzionari se ne vanno, mentre tutto il parentado si trattiene per festeggiare.
Pinkerton cerca di affrettare il brindisi in modo da sbarazzarsene al più presto, impaziente di trovarsi solo con Butterfly.
S’ode di lontano la voce terribile dello Zio Bonzo, che irrompe furibondo, avendo scoperto che Cio-Cio-San ha rinnegato la fede degli avi.
Il Bonzo, cacciato da Pinkerton, la maledice rinnegandola a sua volta, e s’allontana seguito dai parenti.
Il pianto di Butterfly viene placato da Pinkerton, infiammato dal desiderio, mentre scende la notte.
L’ingenua fanciulla risponde teneramente alle appassionate parole del marito che, stringendola in un abbraccio, lentamente,
la conduce all’interno della casa.
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Atto II
Scena prima - L’interno della casa di Butterfly tre anni dopo
La fedele Suzuki prega davanti alla statua di Budda perché Cio-Cio-San non pianga più.
Da tre anni, infatti, la poverina aspetta il ritorno di Pinkerton, partito per gli Stati Uniti con la promessa di ritornare a primavera,
nella stagione in cui i pettirossi fanno il nido.
Ed ella spera ancora, nonostante i dubbi di Suzuki, che un bel giorno spunterà all’orizzonte la nave di Pinkerton
e il suo sposo salirà la collina chiamandola con gli affettuosi vezzeggiativi di un tempo.
Sopraggiunge Goro con Sharpless, il quale ha ricevuto una lettera da Pinkerton con un messaggio per
Cio-Cio-San. Butterfly è raggiante di gioia e dà il benvenuto al console che non ha il coraggio di comunicarle che Pinkerton si è risposato in
America e che verrà a Nagasaki con la sua nuova sposa.
Butterfly, d’altra parte, sembra quasi voler ritardare la lettura della lettera con domande d’un patetico candore: quando rifanno il nido i pettirossi in America?
Goro, in disparte, fa commenti sarcastici e Cio-Cio-San informa il Console di come il sensale insista per trovarle un nuovo marito.
Uno dei pretendenti è il ricco Yamadori, che giunge poco dopo in gran pompa accompagnato dai suoi servi, ricevuto da Butterfly con scherzosa
impertinenza. Per quante promesse le faccia di esserle eternamente fedele e per quanto Goro ne celebri le ricchezze, Cio-Cio-San
non vuole saperne, orgogliosa nella sua tenace convinzione di essere ancora sposata con Pinkerton, anche secondo la legge americana.
Uscito Yamadori, Sharpless comincia con imbarazzo a leggere la lettera di Pinkerton, continuamente interrotto da Butterfly che interpreta ogni parola alla luce della sua illusione.
Quando il Console giunge alla frase «A voi mi raccomando, perché vogliate con circospezione prepararla…», Butterfly si
alza ansiosa e felice credendo che alluda al ritorno del marito.
Il Console piega la lettera e la ripone in tasca, poi cerca di farle capire la
verità in altro modo: "Che fareste … s’ei non dovesse ritornar più mai?" Cio-Cio-San s’arresta
immobile e risponde sommessa che le alternative sono due: tornare a fare la geisha o morire.
Sharpless è vivamente commosso e con tenerezza paterna, cercando di toglierle l’ultima illusione, la esorta a pensare a se stessa,
al suo futuro, sposando il ricco Yamadori.
Offesa, Butterfly chiama Suzuki e le chiede di accompagnare alla porta il Console, ma poi all’improvviso corre nella stanza
accanto e ritorna trionfante con un bambino in braccio: se Pinkerton l’ha scordata, potrà scordare anche suo figlio? Il console, profondamente
turbato, promette che informerà Pinkerton dell’esistenza del bambino ed esce.
Subito dopo entra furente Suzuki che trascina Goro: il «rospo maledetto» va in giro raccontando a tutti che nessuno sa chi sia il padre del bambino.
Butterfly, esasperata, corre al reliquiario, prende il pugnale del padre, afferra Goro per la gola e minaccia di ucciderlo,
ma in quel momento un colpo di cannone annuncia l’entrata in porto di una nave.
Cio-Cio-San si precipita fuori e, con un cannocchiale, cerca di individuare la bandiera della nave,
quindi, esultante ne grida il nome: «Abramo Lincoln!»; la sua gioia è immensa, irride ai dubbi di tutti, esalta la sua certezza
e l’amore che trionfa; ordina a Suzuki di cogliere tutti i fiori del giardino per adornare la casa e ricevere degnamente lo sposo.
Le due donne cospargono tutto con i fiori raccolti, poi, dopo aver indossato l’abito da sposa, Cio-Cio-San si accoccola con
Suzuki e il bambino davanti allo shosi in attesa dell’arrivo di Pinkerton.
A poco a poco la notte si dilegua, giunge l’alba, s’odono di lontano voci di pescatori.
Butterfly, che ha vegliato tutta la notte, si lascia convincere da Suzuki ad andare a riposare un poco, col bambino, con la promessa
che verrà svegliata all’arrivo del marito.
Pinkerton si presenta subito dopo, in compagnia di Sharpless e di Kate, la moglie americana, che resta ad aspettare in giardino.
Informato dal console del figlio che Butterfly gli ha dato, è infatti salito alla casa sulla collina per convincerla ad affidargli il piccolo.
Quando apprende da Suzuki come Butterfly lo abbia atteso in quei tre anni, si allontana col cuore gonfio di rimorso,
mentre Kate e il console attendono nel giardino che Cio-Cio-San si svegli e che Suzuki la prepari alla tragica verità.
Butterfly si desta, chiama Suzuki, entra sollecita nella stanza, vede il Console e pensa, in grande agitazione, di trovare anche Pinkerton, magari
nascosto per farle una sorpresa. Scorge invece Kate, sulla terrazza, ed è colta da un brutto presentimento.
Interroga Suzuki su Pinkerton mentre fissa Kate, quasi affascinata e finalmente comprende chi è. Kate allora si avvicina e,
chiedendole perdono per il male che inconsapevolmente le ha fatto, si mostra amorevolmente disposta ad avere cura del bambino
e a provvedere al suo avvenire.
Butterfly li congeda rispondendo che consegnerà il piccolo soltanto a "lui", se avrà il coraggio di presentarsi mezz’ora dopo.
Rimasta sola crolla a terra, ordina a Suzuki di chiudere le imposte e di ritirarsi nell’altra stanza con il bambino.
Rimasta sola Butterfly toglie da uno stipo un gran velo bianco che s’avvolge
intorno al collo, estrae dall’astuccio di lacca il coltello di suo padre e legge con solennità le parole incise sulla lama:
«Con onor muore chi non può serbar vita con onore».
Sta per compiere harakiri, quando all’improvviso Suzuki spinge nella stanza il bambino. Butterfly lascia cadere il
coltello, si precipita verso il piccolo, lo abbraccia soffocandolo di baci e, dopo avergli rivolto uno straziante addio,
gli benda gli occhi e lo fa sedere, mettendogli in mano una bandierina americana.
Quindi raccoglie il coltello, si ritira dietro il paravento e si uccide.
Nello stesso istante, chiamandola da lontano, entra nella stanza Pinkerton,
che s’inginocchia singhiozzante sul suo corpo esanime.