Rossana Rossanda breve biografia e contenuti dei suoi libri
Rossana Rossanda nata a Pola il 23 aprile 1924, antifascista, giornalista, scrittrice e traduttrice, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e co-fondatrice de "Il Manifesto".
Come dirigente del PCI è stata impegnata da sempre negli eventi di più drammatica attualità e temi politici, culturali, morali più urgenti,
confrontando la sua posizione con quella delle figure più vive della cultura contemporanea.
Attiva in politica ha partecipato all IV Legislazione sugli scranni del Partito Comunista Italiano dal 16 maggio 1963 al 4 giugno 1968.
Allieva del filosofo Antonio Banfi, sono stati entrambe radiati dal Partito nel 1969 per aver collaborato alla fondazione de "Il Manifesto" che fu un partito, oltre che un quotidiano su posizioni di estrema sinistra.
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Rossana Rossanda scrive sul Manifesto dal suo primo numero ed è stata co-direttrice dal febbraio 1976 al 2 marzo 1978 ed dove tuttora Rossana Rossanda scrive.
Opere di Rossana Rossanda sono:
"Le altre", Bompiani, Milano 1979;
"Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale", Bompiani, Milano 1981;
"Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986", Feltrinelli, Milano 1987;
"Appuntamenti di fine secolo", Manifestolibri, Roma 1995 con Pietro Ingrao ed altri;
"La vita breve. Morte, resurrezione, immortalità", Pratiche, Parma 1996 con Filippo Gentiloni;
"Note a margine", Bollati Boringhieri, Torino 1996
"La ragazza del secolo scorso" Einaudi 2005
Dopo essere stata direttore del Manifesto senza però abbandonare il dibattito politico e la riflessione sul movimento operaio e sul movimento
femminista italiano.
Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica, morale, della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda è tuttora dispersa in articoli e saggi pubblicati in giornali e riviste.
Del suo ultimo libro "La ragazza del secolo scorso", Rossana Rossanda dice:
«Questo non è un libro di storia.
E' quel che mi rimanda la memoria quando colgo lo sguardo dubbioso di chi mi è attorno: perché sei stata comunista? perché dici di esserlo? che intendi? senza un partito, senza cariche, accanto a un giornale che non è più tuo? è una illusione cui ti aggrappi, per ostinazione, per ossificazione?
Ogni tanto qualcuno mi ferma con gentilezza: "Lei è stata un
mito!"
Ma chi vuol essere un mito? Non io. I miti sono una proiezione altrui, io non c'entro.
Mi imbarazza. Non sono onorevolmente inchiodata in una lapide, fuori del mondo e del tempo. Resto alle prese con tutti e due.
Ma la domanda mi interpella.
La vicenda del comunismo e dei comunisti del Novecento è finita così malamente che è impossibile non porsela.
Che è stato essere un comunista in Italia dal 1943? Comunista come membro di un partito, non solo come un momento di coscienza interiore con il quale si può sempre cavarsela: "In questo o in quello non c'entro".
Comincio dall'interrogare me.
Senza consultare né libri né documenti
ma non senza dubbi.
Dopo oltre mezzo secolo attraversato correndo, inciampando, ricominciando a correre con qualche livido in più, la memoria è reumatica. Non l'ho coltivata, ne conosco l'indulgenza e le trappole. Anche quelle di darle una forma. Ma memoria e forma sono anch'esse un fatto tra i fatti. Né meno né più».