Antonia Arslan breve biografia e contenuti dei suoi libri
Antonia Arslan, laureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'università di Padova.
E' autrice di saggi pionieristici sulla narrativa popolare e d'appendice "Dame, droga e galline", "Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento" e sulla "galassia sommersa" delle scrittrici italiane "Dame, galline e regine"(1993), "La scrittura femminile italiana fra '800 e '900".
Attraverso l'opera del grande poeta Daniel Varujan, del quale ha tradotto (con Chiara Haiganush Megighian e Alfred Hemmat Siraky) le raccolte "II Canto del Pane"(1992) e "Mari di grano"(1995), ha riscoperto la sua profonda e inespressa identità armena (il vero nome della sua famiglia è infatti Arslanian).
Per non dimenticare uno dei più lucidi scrittori italiani, morto vent'anni prima, Dino Buzzati, la Aslan che lo amava come un maestro,
ha pubblicato nel 1993 due saggi, "Dino Buzzati tra fantastico e realistico" e "Invito alla lettura di Dino Buzzati".
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Arslan ha curato un libretto divulgativo sul genocidio "Metz Yeghèrn Il genocidio degli Armeni", di Claude Mutafian e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia.
"Hushèr, la memoria, voci italiane di sopravvissuti armeni" (2001). Questa prima raccolta a stampa di alcune testimonianze di sopravvissuti al genocidio armeno che trovarono asilo in Italia, dopo la prima guerra mondiale, sono voci difformi l'una dall'altra, alcune trasmesse attraverso la pagina scritta, altre raccolte oralmente, che ci portano l'eco diretta della prima grande tragedia di genocidio del ventesimo secolo.
Ma è un eco molto speciale, perché questi sono bambini che parlano: cioè adulti che danno espressione al terrore infantile che è rimasto da
sempre chiuso dentro di loro.
Sono racconti frammentari, a volte discontinui, bloccati da un pianto che non ha mai trovato sfogo, e riflettono orrori inimmaginabili visti
dagli occhi di un bambino.
Divise fra orfanotrofi miserabili e un'onnipresente penuria materiale, private quasi sempre delle famiglie, sole sotto l'angoscia di un
minaccia incombente, queste esili voci aiutano a tracciare l'immagine nostalgica, la sinopia di quella tollerante, multietnica civiltà
anatolica che è perduta per sempre, ma che oggi anche i giovani intellettuali di Turchia cominciano a rimpiangere.
"La Masseria delle Allodole", è il suo primo romanzo, con cui ha vinto il Premio Campiello 2004.
In questo sconvolgente libro, Antonia Arslan attinge ai ricordi familiari per raccontare la tragedia di un popolo “mite
e fantasticante”, gli armeni, e la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute.
La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell’Anatolia, dove, nel maggio 1915, all’inizio dello sterminio degli Armeni da parte dei Turchi, vengono trucidati i maschi della famiglia, adulti e bambini, e da dove comincia l'odissea delle donne, trascinate fino in Siria attraverso atroci marce forzate e campi di prigionia, fra massacri, morte e disperazione, queste donne coraggiose, spinte da un inesauribile amore per la vita, riescono a tenere accesa la fiamma della speranza.
Da Aleppo tre bambine e un maschietto vestito da donna, salperanno per l’Italia, dove li accoglierà lo zio Yerwant, nonno dell’autrice, “colpevole di essere sopravvissuto”, perché emigrato giovanissimo.
L'interesse per questo libro è stato notevole e l'autrice ha ottenuto vari riconoscimenti quali il "Premio Letterario della Poesia Religiosa" in Campania ed il "Premio del libraio, città di Padova 2005" ed è stato tratto un bellissimo film con lo stesso titolo dei fratelli Taviani.
A distanza di cinque anni Antonia Arslan torna a raccontarci l’epopea della sua famiglia e dei sopravvissuti al genocidio del 1915 che viaggiano fuggendo, in cerca della terra promessa ma che incontrano una nuova delusione.
Una storia di uomini alteri e dignitosi, umiliati e trucidati, costretti a mendicare nei mercati di mezza Europa. Un romanzo carico della
magia e della ricchezza che l’odio nazionalista e integralista non riuscirà mai ad estirpare dall’animo levantino, fatto di pensieri lucidi e struggenti, come un antico canto funebre.