La riforma globale oltre la democrazia
Nuova visione sociale
La voce della saggezza imporrebbe
più rinunce che conquiste e consumi.
L’epoca del PIL dovrebbe volgere al termine, sono ormai in molti ad essersi resi conto di quanto sia assurdo questo strumento di valutazione.
Per procedere nella giusta direzione, dobbiamo essere consapevoli che i prossimi governi dovrebbero essere
sempre più impopolari e dunque avere
un potere adeguato per far digerire i sacrifici necessari ai propri elettori, senza essere legati alle scadenze elettorali
Bisogna trovare nuove tecniche per distribuire in modo equo la ricchezza, spezzando così l’insostenibile spirale del consumo sempre in
crescita e del divario tra
ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
Il crollo dei consumi produrrebbe riduzione della ricchezza in frange di popolazione sempre più ampie, a favore di una riduzione di
povertà sull’altro fronte. Il processo evolutivo è dunque molto delicato, deve essere
ben pianificato e spalmato in un giusto
arco di tempo, altrimenti si andrebbe incontro a sommosse popolari La gente può affrontare una situazione di agio inferiore,
ma fino ad un certo punto e comunque sempre e solamente se preventivamente convinta più che costretta.
Teniamo presente che
sul nostro pianeta sono in vita contemporaneamente società che ricalcano strutture appartenenti a secoli diversi.
Abbiamo ancora antiche strutture tribali, monarchie ammuffite, dittature spietate e paradisi fiscali. Però i mezzi di comunicazione oggi
consentono anche al più povero abitante del più sperduto angolo della Terra di vedere cosa mangia, come si veste, che lavoro fa, come si
diverte un abitante di un paese che è magari a poche miglia da lui.
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Questi contrasti provocano ovvi richiami magnetici,
flussi massicci di migranti, producendo ancor più rapidamente pericolose
concentrazioni di persone in territori sempre più ristretti e affollati.
Da qui emerge anche il
conflitto etnico, culturale, religioso, linguistico.
L’Uomo non è pronto
per la globalizzazione, e forse non lo sarà mai.
Cercherà sempre il conforto di essere circondato da individui
il più possibile simili a lui, in tutto (ed è portato anche a non andare d’accordo pure con loro!).
Possiamo pensare che l’abbandono di interi continenti e il sovraffollamento di altri siano un bel programma per il futuro?
Siamo veramente convinti che il futuro migliore sia quello che veda gente di ogni razza, lingua, cultura e religione assembrata nello stesso
condominio? O speriamo che in poche generazioni tutte le differenze etniche spariscano e nasca il super-meticcio bianco-giallo-nero con una
sola religione, una sola lingua e stesse usanze, o che rispetti le usanze altrui, anche quando sono in netta opposizione alle proprie?
E siamo convinti che la miscelazione di culture diverse produca una nuova cultura, o saremmo di fronte ad un frappè imbevibile?
Allora, senza farci utopistiche illusioni e considerando invece come valore aggiunto le differenze umane, dobbiamo coprire il divario temporale che
separa antiche culture tribali da moderne società opulente, ma
mantenendo il più possibile le popolazioni nei loro territori d’origine e rispettando le loro tradizioni, migliorandole ove fosse necesssario.
Qualcosa si è tentato di fare e si fa quotidianamente, ma è una goccia nel mare. Basti pensare ai numeri spaventosi delle persone che muoiono di
fame e che non raggiungono l’età adulta.
Possiamo restare ancora a lungo indifferenti a questo problema?
C’è anche una motivazione egoistica che ci dovrebbe spingere ad affrontare seriamente e con tutti i mezzi la questione. Se non aiutiamo
le popolazioni più bisognose nei loro territori d’origine ed in cui affondano le loro radici, è naturale che queste popolazioni verranno
sempre di più a cercare conforto, lavoro, benessere e sicurezza nelle regioni più benestanti. A maggior ragione se nei loro territori
sono in corso guerre tribali o dittature spietate o se i cambiamenti climatici ne stanno mettendo in ginocchio le produzioni agricole.
Noi dobbiamo rinunciare ad una parte del nostro benessere per ridistribuirlo nelle forme più utili alle popolazioni più povere e
sfortunate.
Non abbiamo altra scelta.
Abbiamo anche i mezzi per farlo, non ci sono scuse. Basti pensare ai bilanci degli stati ricchi con le quote riservate alle
spese per gli
armamenti.
La progressiva riduzione delle armi e dei mezzi da guerra super tecnologici consentirebbe, senza far fare troppi sacrifici ai cittadini
di quei paesi, di sostenere in modo massiccio lo sviluppo culturale ed economico dei paesi poveri. Scuole, ospedali, impianti idrici, piccole
imprese artigianali che col tempo diventerebbero industrie locali per offrire ai loro concittadini i beni necessari per un progressivo
miglioramento delle loro condizioni di vita. Ovvero: distribuzione di
civiltà per produrre
benessere diffuso.
Le nostre società devono anche recuperare la dignità individuale, il rispetto reciproco, il rispetto per la cosa pubblica, il rispetto delle
leggi e l’equilibrio tra
Diritti e Doveri di ogni singolo cittadino, che deve sentirsi spronato e appagato dal far
parte integrante e utile della sua comunità. Deve acquistare fiducia nelle strutture governative (da risanare totalmente!) e nei sistemi di
sicurezza.
Vecchi princìpi, come quelli diffusi dal primo cristianesimo o le teorizzazioni sul comunismo, scivolato poi in regimi sanguinari che
nulla avevano a che fare con l’idea ispiratrice, tornano ad essere attuali e indispensabili per il bene delle generazioni future. Ma
dobbiamo evitare di cadere negli equivoci del passato, facendo tesoro degli errori d’allora.
Il
Cristianesimo faceva leva su un idolo che rappresentava solo i dolori e le proibizioni (il bastone).
Il
Comunismo soffocava le libertà individuali in cambio di una misera assistenza statalista (la carota).
L’altruismo è contro la natura umana e possiamo stimolarlo solo insegnandolo e premiandolo.
La società di tipo consumistico fa leva sui desideri individuali, anche inconsci, isolando sempre più le persone le une dalle altre.
In pratica sono stimoli verso un aumento dell’egoismo, che è la direzione sbagliata. Ci viene già fin troppo naturale seguire quella strada!
I
social network ne sono la prova attuale di quanto la gente senta il bisogno di comunicare e nello stesso tempo si
allontani sempre più dal contatto diretto personale coi suoi simili e con l'ambiente naturale.
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Allora, per distribuire più equamente il benessere ai cittadini di tutto il mondo si devono avviare programmi che distolgano il denaro da imprese
speculatrici (finanza e altro), corruttrici o devastanti (droga e armi), chiedendo anche un forte coinvolgimento della collettività per
gli aiuti produttivi da fornire ai più bisognosi.
Dobbiamo salvaguardare anche la dignità dei più poveri. Non dobbiamo fare carità, dobbiamo prestare più mezzi e più competenze che col tempo
potranno esserci restituiti. Questa scelta porta alla responsabilizzazione e coinvolgimento degli assistiti.
Il
microcredito sta già dando ottimi risultati da molti anni su questo problema.
Tutti i paesi al di sopra del reddito medio mondiale dovrebbero, proporzionalmente alla loro ricchezza, sostenere i paesi che stanno al
di sotto di quel reddito medio.
Modalità e tempi d’attuazione devono essere concordati tra tutti i paesi aderenti. I paesi che non dovessero partecipare al piano dovrebbero
subire una pesante penalizzazione sulle loro esportazioni.
Un apposito ente internazionale dovrebbe sovrintendere ai vari piani d’aiuto e sviluppo, trattando equamente ogni paese coinvolto. In esso
dovrebbero convergere tutte quelle associazioni assistenziali che oggi operano in modo indipendente e scoordinato (Croce Rossa, Unicef, Wwf,
Amref, ecc.), facendo così confluire tutte le risorse già disponibili in un unico strumento d’intervento e coordinamento mondiale.
Prosegui col dettaglio del progetto leggendo la pagina successiva:
3) Il benessere delle popolazioni
Autore: Enrico Riccardo Spelta
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