Meravigliosamente naturale
Originalità e naturalezza da contrapporre agli stereotipi consumisticiProf.ssa Leonarda Venuti
Se riflettiamo un attimo, vediamo che oggi tutto o quasi tutto è artefatto, costruito, innaturale, dall’alimentazione al modo di pensare,
dalla forma del corpo umano agli ambienti abitativi e di lavoro.
Nello stesso tempo, al contrario, avvertiamo la necessità liberatoria di uscire da spazi e schemi che ci sono stati imposti, il desiderio di una
vita autentica, di trovare vera soddisfazione in ciò che è naturale, come il mangiare biologico e macrobiotico o il relax in spazi verdi.
Il bisogno di vivere in tranquillità induce un numero crescente di persone a spostarsi, se possono, in luoghi vivibili, in abitazioni
rispettose dell’ambiente.
Questa ricerca del naturale porta però sempre più spesso a delle disillusioni: ciò che viene creduto autentico e non alterato dall’uomo
può rivelarsi falso e artefatto.
Qualche esempio?
(pubblicita' ads A1)
Le campagne, anelate negli anni scorsi come angoli di paradiso da tanti
stranieri oltre che dagli Italiani, quale meta di un nuovo tipo di vacanza creduta disintossicante, celano in realtà fastidi
e inquinamenti di varia natura: discariche, tralicci, pannelli fotovoltaici che nascondono il verde, circuiti per il motocross,
aerodromi, musica ad alto volume di certi agriturismi, pesticidi sparsi in sovrabbondanza dagli agricoltori.
Similmente, la ricerca di partner rispondenti a modelli di bellezza stereotipati può portare a spiacevoli sorprese, ad essere attratti da
botulino e silicone, dai risultati della chirurgia estetica, invece che da corpi veri.
Queste frequenti delusioni nella ricerca sia del bello che dell’autentico sono quindi causate dall’intervento alterante dell’uomo, e non smorzano ma semmai rafforzano il desiderio di trovare ciò che è naturale.
E’ preoccupante che l’aumento della sensibilità e del rispetto verso l’ambiente non si estenda a ciò che abbiamo di più caratterizzante, intimo e personale:
il nostro corpo.
La gente non sente la necessità di lasciare il proprio corpo naturale, così com’è. E’ divenuto normale sottoporsi a manipolazioni spesso dolorose per raggiungere un aspetto "adeguato”, imposto, stereotipato.
Eppure ciascuno di noi, nell’incontro con l’altro, è colpito nel profondo esclusivamente da ciò che è naturale: si desidera vedere e
sentire il corpo vero di una donna, il viso autentico di una persona coerente con l’età, senza tanti rifacimenti di seni, nasi, labbra,
sopracciglia a virgola e quant’altro.
Coloro che si mostrano così come sono compiono oggi un atto di coraggio, e sono paragonabili a eroi tra tanti codardi. Codardi patetici e
servili, perché è così che si diventa.
Il potere ha interesse a far considerare ridicola qualsiasidifferenziazione rispetto ai modelli da esso inculcati: differenziarsi
da uno stereotipo imposto, massificante, uguale per tutti è quindi lascelta migliore tra tante altre meschine, in quanto scelta indipendente,
critica e personalizzante.
La radice di tale uniformazione a parametri esogeni è storicamenteravvisabile prima negli antichi Greci e Romani, poi nel Rinascimento e nel Neoclassicismo.
Nella ricerca di una perfezione ideale e quindi innaturale, tutto deverispondere a canoni armonici, basati su un perfetto equilibrio di
proporzioni tra le parti: si tenta di raggiungere un modello dibellezza, in realtà spesso solo contingente, attraverso la simmetria e
l’armonia del corpo.
Nel Quattrocento
Leon Battista Alberti afferma che la bellezza non è una qualità necessariamente insita in
tutti gli oggetti esistenti in natura. Egli ritiene che la bellezza siriconosce non soltanto in base al gusto, di carattere del tutto
personale e variabile, ma in base a una facoltà razionale comune a tutti gli uomini.
L’artista nelle sue opere deve preoccuparsi d’inserire quanto più gli è possibile il bello e il meno possibile il brutto: egli deve in primo luogo dissimulare o eliminare ogni imperfezione del suo modello; insecondo luogo l’artista deve scegliere accuratamente fra i vari modelli di cui dispone le parti più belle, allo scopo di fonderle in un tutto unico privo di difetti.
Altro aspetto della teoria albertiana è quindi il desiderio di creare figure conformi non soltanto a quanto di più bello è in natura, ma a
quanto è più consueto, generale o tipico.
Secondo questa teoria l’artista, eliminando le imperfezioni deglioggetti naturali e fondendo le parti più tipiche, perviene alla bellezza
tipo, raggiunta tramite una media più o meno aritmetica. La scelta innatura del meglio e del tipico, la ricerca della proporzione perfetta,
del tipo universale di figura umana, consentirebbe all’artista la facoltà di creare un’opera più bella di qualunque altra esistente nella natura stessa.
Leonardo Da Vinci
dà invece scarsorilievo al processo di selezione dalla natura di ciò che è più bello,proprio dell’Alberti, ravvisando il concetto
di bellezza nelle formenaturali: il naturale è bello.
Anche se ha pure lui sulle spalle tutto l’operato degli antichi Greci e Romani, e in alcuni suoi scritti si rende conto di come non tutto in
natura sia ugualmente bello, egli ritiene che tutto sia meritevole d’imitazione da parte del pittore: il caratteristico naturale non deve
essere inteso come un difetto.
Leonardo vuole che il pittore copi tutto quanto esiste in natura e non si ponga limiti tralasciando determinate classi di oggetti; in tanti
suoi appunti parla della bellezza di tutte le opere della natura, senza formulare distinzioni tra i diversi gradi di bellezza.
Quello che lo interessa non è il bello ma l’individualizzato e il caratteristico. A Leonardo non importa che le sue figure non risultino
conformi a un canone assoluto d’armonia, purché egli riesca a crearle autentiche, vive e dotate di una propria individualità.
Leonardo dissente quindi dall’Alberti per quanto concerne l’esclusiva ricerca in natura del bello, come del tipico e dell’universale.
Se l’Alberti aveva tentato di fissare un canone unico di proporzioniapplicabile a tutte le figure umane, Leonardo è esattamente agli
antipodi, poiché pone in rilievo l’infinita varietà dispiegata dalla natura nella figura umana.
Queste teorie leonardesche risultano perciò quanto mai utili e attuali.
Ai giorni nostri, vediamo come di ricerca della proporzione armonica ve ne sia ben poca.
Quasi tutto è portato all’eccesso: il martoriare, per un fine puramente pseudoestetico, il proprio corpo, con debordanti
protesi di silicone o con labbra enormi viene visto come il modo più rapido e meno faticoso per emergere dall’anonimato della quotidianità,
dell’abitudine, della ripetizione di giorni di vita sempre uguali, scanditi da orari e da attività stabiliti da altri.
Ma è un trabocchetto, una falsa via di fuga, anch’essa prestabilita a uso e consumo della gente comune priva di identità e di autocoscienza.
Nel corso della storia antica, moderna e contemporanea l’uomo e la donna sono intervenuti su sé stessi, sul loro corpo, da capo a piedi, spesso deformandolo in modo permanente. Tali pratiche differenziano l’uomo dagli animali, in quanto solo l’uomo ha la possibilità di intervenire su sé stesso consapevolmente.
Il corpo umano nella sua natura estrinseca può essere modellato e modificato, pertanto gli esseri umani, fin dalle culture più antiche o
primitive, hanno sempre cercato di abbellire il proprio corpoalterandolo per raggiungere ideali di bellezza, supportati da motivi
psicologici, sessuali, sociali o religiosi. Questi tentativi, così come le loro motivazioni, appaiono a un osservatore avulso dal contesto che
li ha determinati per lo più penosi e patetici.
Si pensi, a mero titolo di esempio, all’allungamento del collo tramite la sovrapposizione di collane, al restringimento del giro vita per mezzo di corsetti talmente stretti da provocare svenimenti e deformazioni, alla circoncisione degli organi genitali o all’accorciamento dei piedi tramite la dolorosa fasciatura nelle donne cinesi.
Manipolazioni decorative della cute, spesso orribili e dolorose, hannoin origine lo scopo comune di identificazione all’interno della società, in ambito religioso, politico o magico. Queste pratiche di marchiatura con segni indelebili sono lo scarning, il branding, e il piercing.
Lo scopo essenziale del piercing, delle scarnificazioni, come dei tatuaggi, delle pitture corporali e delle decorazioni temporanee, è
quello di distinguere i ruoli che ogni membro assume all'interno della tribù.
Spesso le scarnificazioni o le cicatrici rituali sono eseguite al raggiungimento di tappe fondamentali di un soggetto all’interno di un
contesto sociale. Lo scarning in uso nell’etnia nera, è un sistema di decorazione ricavata da incisioni e tagli reiterati nel tempo, per
arrivare a rappresentazioni sempre più evidenti.
Il branding, di provenienza nordica, impressiona la pelle umana con particolari attrezzi infuocati, creando immagini in risalto.
Il piercing, ossia perforazione della pelle, solitamente è praticato nei lobi delle orecchie, nelle narici, nel setto nasale, nelle labbra,
nell'arco sopraccigliare, nei capezzoli o nei genitali. Va ricordato, con il piercing, il ringing, che si diversifica dal primo per
l’introduzione di anelli nei fori.
L’allargamento del piercing inserendo nel foro degli oggetti quali anelli in metallo, tubi, bastoncini, piattelli e pesi comporta
un’alterazione del viso deformandolo permanentemente.
La pratica del piercing (dall’inglese to pierce, forare) è iniziata in occidente negli anni ’70, nei luoghi punk e underground, tra gli omosessuali, tra i praticanti del sado-maso ed i feticisti, dunque in ambienti fuori dall’esistenza comune, ma proprio per la loro
autodistruttività poi proposti dai dominanti come modelli per i dominati.
Nelle fattispecie di coppie omosessuali o sadomaso, colui che mette il piercing è generalmente il dominato, lo schiavo, e i simboli di tale
assoggettamento sono dati dagli anelli ai genitali o ai capezzoli.
Attualmente il piercing è una moda, pubblicizzata e imposta dai mass media di regime, che coinvolge principalmente la parte più manipolabile
della popolazione: i giovani.
Esiste anche un piercing più heavy, quindi meno praticato, come il dental piercing, con applicazione di capsule d’oro e brillantini, il
taglio della lingua per renderla biforcuta, o il cutting nel quale il corpo viene tagliuzzato.
Diverse sono le motivazioni, ovviamente indotte, della scelta del piercing. Si crede di praticarlo principalmente perché attira
l’attenzione degli altri, per molti, unico mezzo per farsi notare, per illudersi di attuare una facile e innocua ribellione, per trasgredire, in realtà obbedendo a mode eteroimposte.
Non potendo magari vantare una bellezza propria, si cerca di essere almeno di moda, di diversificarsi dagli altri, quando invece la moda non
differenzia ma eguaglia e massifica.
La volontà di perpetuare l’evento autolesivo, iniziato come scelta di unmomento della propria vita, può avere come motivo più recondito il
bisogno di regolare sé stessi e quindi la propria esistenza, cosìsperando di poter allontanare la morte e il dolore.
La funzione iniziale di differenziazione sociale e sessuale del piercinge del ringing, ha perciò oggi mutato il suo significato culturale
originario, per divenire una forma di eterocondizionamento psichico e comportamentale; condizionamento di cui le vittime, per insipienza
identitaria, non sono consapevoli, trovandosi abilmente coartate ad essere carnefici di sé stesse, in un’ottica di labelling
dell’”inferiore”, del sans-pouvoir, e di induzione all’autoeliminazione del possibile competitor.
Il corpo umano, per la sua naturale configurazione, ha sempre avuto unafunzione comunicativa di notevole importanza all’interno della società.
Pertanto nella storia dell’uomo, come interventi permanenti, vanno ricordati anche i tatuaggi.
Nelle comunità in cui la decorazione corporea persiste con rilevanti significati, il tatuaggio è apprezzato per il suo valore estetico, una
maniera per abbellire il corpo, ma anche usato come un vero e proprio mezzo di comunicazione, portatore di messaggi, dando la possibilità di
esprimere e manifestare immediatamente dei valori: il corpo umano si trasforma in libro.
Le motivazioni del tatuaggio sono anch’esse molteplici: estetiche, culturali, sociali, religiose, politiche.
Presso i differenti popoli, troviamo diverse finalità dell’uso del tatuaggio, dalla difesa contro i demoni alle cerimonie di passaggio,
come marchio punitivo di schiavi o malviventi, come terapia medica, beatificazione, esibizione di stato economico o sociale, come accrescitore
di bellezza e richiamo sessuale, e addirittura come assicurazione per accedere all’aldilà dopo la cessazione della vita.
Nel corso del tempo il tatuaggio ha quindi cambiato più volte valore. Mentre nelle popolazioni tribali i tatuaggi sono identificatori di sé
stessi, nelle colonie penali dell’Ottocento il tatuaggio è espressione della perdizione morale, psichica e fisica,
è quindi distintivo di vita.
Se i tatuaggi nelle tribù servono per evidenziare le caratteristiche dell’individuo, un uso del tatuaggio quale identificatore numerico di
esseri umani è praticato dal nazismo: l’uomo deportato tatuato non esiste più come persona, ma come oggetto di cui disporre a proprio piacimento.
Il tatuaggio polinesiano ha stravolto la nostra concezione occidentale: mentre il tatuaggio primitivo faceva parte di riti iniziatici o
religiosi, il tatuaggio occidentale dell’epoca coloniale e postcoloniale ha carattere principalmente estetico.
Le immagini tatuate vanno dai rifacimenti pressoché identici dei temi classici a rappresentazioni appartenenti al repertorio marinaresco, a
soggetti più strettamente personali o esoterici.
Oggi il tatuaggio ha valore di separazione dalla quotidianità, di tentativo di evasione da esistenze vere, per scimmiottarne altre fasulle.
Anche se è in atto un tentativo di elevare il tatuaggio a un livello culturale e artistico, il tatuaggio stesso, come le pratiche di foratura
corporea, ha perso il suo valore originario, e si presenta come miserevole tentativo di fuga da un fantomatico perbenismo assunto come
vigente e in realtà inesistente.
Questa ulteriore moda di trasgressione non è altro che una rinuncia a sé stessi per lasciarsi violentare dalle nuove forme di controllo: chi
"trasgredisce” obbedisce al vero padrone.
Tutte le pratiche finora citate di alterazione e violenza ai danni del proprio corpo sono esempi di mode e tendenze, e in quanto tali non sono
mai perenni, stabili, soprattutto nella nostra epoca, in cui tutte le inclinazioni nascono, vivono e muoiono in breve tempo, in un continuo
plasmare esistenze pianificate e controllate.
(pubblicita' ads A3)
Una volta modificato definitivamente il corpo ecco che già nasce una nuova tendenza esattamente contraria alla precedente. L’assurdità sta
nell’intervenire sul proprio corpo provocando un suo cambiamento definitivo, senza pensare al poi, a quanto durerà la tendenza del
momento, oltre che a quanti soldi si spendono inutilmente.
La moda che detta regole su vestiti e accessori, sull’acconciare il proprio corpo, sul modo di parlare, perfino sulle tipologie di proprietà
mobiliari e immobiliari, è solo un mezzo per svuotare le tasche alla gente comune asservendola.
E’ fin troppo facile far leva sulla limitatezza e sulla scarsa identità culturale e familiare di chi ha bisogno di far parte del gregge, di
essere uguale e quindi non inferiore agli altri, su chi vive dell’esteriorità, dell’ambizione di manifestare un qualche sé stesso
perché non ha un sé stesso. Da sempre l’autolesionismo del servo gratifica e rassicura il padrone.
L’uomo odierno si crede libero ma in realtà vive in una ferrea prigione di regole imposte, anche se magari non se ne rende conto, confuso com’è dai mezzi di distrazione di massa.
Oggi più che mai la bellezza deve quindi rientrare in un ambito di verità.
Bellezza di essere sé stessi, mostrarsi per quello che si è o si ha, contro qualsiasi etichettatura la società voglia imporre alla nostra unicità.
L’uomo è, ed è sempre stato il risultato della società in cui vive, esattamente come l’opera d’arte è ed è sempre stata espressione della società in cui viene realizzata.
E’ forse libera l’espressione artistica, di oggi come di ieri? Basti pensare solo ad alcune forme d’arte,
prodotti e strumenti del potere imperante, negli antichi Romani, nella Firenze di Lorenzo il Magnifico,
nella corte di Francia di Luigi XIV, per farci riflettere su come l’arte non sia sempre libera espressione individuale,
ma vera e propria forma di controllo.
Pertanto l’uomo che non riveste il ruolo di dominante è il risultato, nelle sue valutazioni estetiche, nei suoi bisogni indotti, in ciò che
indossa o possiede, di dettami imposti dai soggetti e dalle famiglie dominanti.
Chi gestisce la nostra società, attraverso vari sistemi palesi od occulti, riesce a dirigere la gente entro binari uguali per tutti.
E’ la regola imposta del "tutti”: vestire
tutti alla stessa maniera,
possedere cose
tutte alla stesa maniera, avere
tutti un corpo alla
stessa maniera,
tutti uguali,
tutti insieme,
tutti a scuola,
tutti al
lavoro,
tutti al mare,
tutti in discoteca.
Essere "popolo”,
un popolo composto da tutti coloro che non hanno identità e potere: il popolo della notte,
il popolo dei vacanzieri, il popolo della movida, il popolo dei fatti e "rifatti”... ma, per chi ha coraggio, una prigione
è costruita per evadere da essa.
Avere un corpo "bello”, privato di ogni imperfezione caratterizzante, costruito dalla chirurgia plastica, è sempre una rinuncia a sé stessi,
un piegarsi ai diktat altrui, il risultato di una bellezza artificiale e imposta, mai paragonabile a quella meravigliosamente naturale.
Autore:
Prof.ssa Leonarda Venuti