Odio, definizione e riflessioni
L'odio è uno dei peggiori sentimenti che l'uomo può provare verso i suoi simili. Un sentimento distruttivo, con il quale non si risolve
mai alcuna questione, ma si sviluppano reazioni sproporzionate di vendetta e aggressività.
L'odio, si sviluppa in persone particolarmente ignoranti o invidiose.
L'ignoranza, infatti, genera pregiudizi, ingenuità e timori, che in seguito producono delusione e risentimento oppure insofferenza e ostilità.
Si odia perché non si comprende abbastanza, non si prevede, non si giustifica, non si conosce a fondo il comportamento umano, oppure
perché ci si lascia influenzare da opinioni altrui, non avendo cultura e opinioni personali.
L'odio può derivare dall'invidia, quando si sente usurpata da altri una posizione che vorremmo fosse nostra, ma che inconsciamente
consideriamo irraggiungibile.
L'odio non è legato all'amore, come comunemente si sostiene. Non è paritetico all'amore. E' un sentimento notevolmente inferiore e sempre
condannabile in tutte le sue espressioni, visto che non produce mai risultati apprezzabili, ma, anzi, devasta e distrugge.
L'odio non si vince col perdono, ma con la comprensione dei comportamenti e dei diritti degli altri. Ovvero con la ragione e la razionalità.
La lotta tra due popolazioni o tra due classi di una stessa popolazione, non potrà mai trovare soluzione
con la guerra, perché quest’ultima creerebbe ulteriori ferite e porterebbe altro odio. Lo dimostrano, ad esempio, le guerre condotte
dagli Stati Uniti, che hanno generato un terrorismo difficilmente estirpabile.
L'odio tra nazioni ha una motivazione storica: chi ha vissuto l'esperienza della guerra non c'è dubbio che si porti dietro dei ricordi
che fomentano i pregiudizi. Per questo si parla di "cultura" del nemico: se in una società domina l'idea che chiunque non
faccia parte del nostro clan è un potenziale nemico, ciò porterà ad un atteggiamento non solo di sfiducia, ma addirittura di odio.
L'odio sociale si vince dunque migliorando il livello culturale di una società.
Io credo che le società possano svilupparsi e progredire seguendo, invece che la cultura del nemico, della competizione e dunque dell'odio, una
cultura della cooperazione. Attraverso la competizione si pensa che per affermarsi si debba eliminare l'altro.
Nella cooperazione, invece, non si afferma mai il singolo, bensì il gruppo. Per la prima esiste solo l'individuo vincente e manca
totalmente la consapevolezza della sofferenza dei perdenti, ma l’essere perdenti crea delle frustrazioni a causa delle quali
spesso si reagisce in maniera violenta.
Nella cooperazione, invece, il singolo è un elemento dell’unità-gruppo.
Facciamo l’esempio della classe: essa potrebbe essere vista come una unità con dei risultati di gruppo, o potrebbe venire
considerata come una collezione di 20 io in lotta tra di loro, con esclusi e non esclusi, bravi e meno bravi.
Il secondo modello porta necessariamente ad un eccessivo agonismo.
Ogni volta che ci si pone di fronte ad una alternativa rigida tra la scelta del sì o del no, del noi e loro, dell'io e gli altri, si creano
due schieramenti opposti che inevitabilmente cercheranno di sopraffarsi a vicenda.
Un semplice esempio è dato dalla competitività agonistica negli sport a squadre, di cui da noi il calcio è la massima espressione.
Questi sport rappresentano una sublimazione dello scontro frontale, una micro-guerra in altre parole.
Il risultato è un pessimo esempio in cui vengono trascinati anche tutti i tifosi, con le conseguenze degenerative che tutti noi conosciamo.
Negli sport individuali questo problema non sussiste, perché ogni concorrente è partecipe in modo paritetico e senza opposizioni.
Si può odiare anche sé stessi: quando il proprio Io reale non corrisponde all'Io ideale, nasce uno squilibrio dannoso al nostro equilibrio.
Ancora una volta tutto ciò è sintomo di una carenza conoscitiva del proprio essere, delle debolezze insite nell'uomo, dell'istinto, delle
pulsioni che ognuno di noi porta con sé e che deve quotidianamente dominare e razionalizzare.
Se conosce tutti questi meccanismi lo può fare, altrimenti ne resta schiavo. Ci possiamo odiare perché non siamo come vorremmo essere.
Ovvero ci poniamo degli obiettivi non raggiungibili o verso i quali non siamo in grado di fare il dovuto sforzo o ancora che non rientrano
nelle nostre capacità. Ci odiamo perché non ci conosciamo abbastanza e non sappiamo orientare diversamente i nostri desideri e aspettative.
L'odio viene esercitato a tutti i livelli e senza distinzioni tra credenti e non credenti. La stessa Chiesa Cristiana non ne è immune, pur
predicando a parole "l'amore".
L'odio si può superare solamente con l'esperienza, il rispetto degli altri, la conoscenza dei propri limiti e doveri.
La gratificazione che ne deriva, sia a livello individuale che sociale, è una qualità di vita superiore, una maggiore serenità, una migliore autostima.
Sì, perché l'odio fa male, fa soffrire, è corrosivo, tanto quanto stupido e inutile a risolvere i problemi.
Autore: Enrico Riccardo Spelta
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