La globalizzazione, analisi, interrogativi e riflessioni
Premessa sulla globalizzazione
Nel 2020 è scoppiato il coronavirus.
E' uno dei fenomeni imputabile alla globalizzazione sfrenata alla quale tutti noi ci siamo associati, come idea geniale, meravigliosa, frutto di un magnifico progresso.
Il coronavirus non si sarebbe espanso in modo tragico se noi non spostassimo merci e persone da un continente all'altro, senza alcuna remora.
Oggi che è tutto fermo ce ne rendiamo conto e vediamo il risorgere della natura e dell'aria pulita., ma appena la pandemia rallenterà, torneremo come prima, magari più di prima, a viaggiare ed accettare come progresso l'idea che le merci si spostino da un continente all'altro, per il bene deell'economia...quelli che molte persone hanno ridotto alla fame!
Allora, Globalizzazione, sì o no?
L'analogia tra i termini "
globale" e "
universale"
è fuorviante. L'
Universalizzazione ha a che fare con i diritti umani: la
libertà,
la
cultura e la
democrazia. Al contrario, la
Globalizzazione è sulla
tecnologia, il
mercato, il
turismo e
l'informazione.
Qualsiasi cultura che diventa universale, perde la sua singolarità e muore. Questo è quello che è successo a tutte quelle culture che sono
state distrutte dalla forza d'urto dell'assimilazione.
Ma è anche vero per la nostra cultura, nonostante la sua pretesa di essere universalmente valida.
L'unica differenza è che le altre culture sono morte per la loro singolarità, che è una bella morte.
La nostra, invece, sta morendo perché stiamo perdendo la nostra singolarità distruggendo tutti i nostri valori.
E questa è una morte molto più brutta.
La tendenza alla globalizzazione, però, dovrebbe essere valutata da due opposti punti d'osservazione.
Dal punto di vista dei paesi ricchi (Europa occidentale, Stati Uniti), il rapido processo a cui abbiamo partecipato o assistito
passivamente, si è rivelato un boomerang: ha prodotto la perdita di occupazione nel mondo del lavoro e un impoverimento generale delle
classi meno abbienti, partendo però dalla media borghesia.
Dal punto di vista, invece, dei paesi più poveri il fenomeno rappresenta una fase evolutiva verso un maggiore benessere, che era senza
speranza solo pochi decenni addietro.
Noi occidentali abbiamo spinto la globalizzazione pensando che l'apertura verso altri paesi più poveri (visti solo come "
mercati")
avrebbe rappresentato un enorme ampliamento dei nostri profitti. E ciò è risultato vero, ma solo per quei pochi imprenditori o specialisti
che hanno fatto fortuna esportando il loro know how e macchinari produttivi in quei paesi.
Per tutti gli altri abitanti delle nazioni ricche, invece, ha rappresentato, assieme al fenomeno dell'immigrazione, una doppia perdita
di potere economico, trasformatosi poi in maggiori debiti pubblici, maggiori tasse e drastica riduzione dei posti di lavoro.
Data l'ingestibile competizione del minor costo di manodopera, la bilancia tra importazioni ed esportazioni sarà sempre di più a nostro sfavore.
Quindi, sul piano umanistico generale, i paesi ricchi, impoverendosi e perdendo un poco del loro sfrenato benessere consumistico, hanno compiuto
(involontariamente!) una vera e propria opera di bene, aiutando ad emergere quei paesi che fino a ieri non avevano lavoro e/o morivano di
fame e malattie.
Oggi un'operaia indiana, guadagnando 45 dollari al mese, si ritiene fortunata e vive molto meglio di prima. E' sfruttata in modo
vergognoso, ma prima non aveva niente del tutto.
Noi dobbiamo decidere se sentirci orgogliosi di questo fatto e dunque non lamentarci, oppure pentirci di non avere saputo imboccare strade
diverse per cercare di porvi rimedio, rallentando se non altro il fenomeno.
Del resto gli aiuti che davamo al terzo mondo finivano in gran parte male e non giungevano alle popolazioni povere, ma arricchivano
trafficanti d'ogni genere.
L'errore stava nel fornire mezzi di sussistenza e non conoscenza.
Nessuno ha capito che aprire le frontiere significava aprirsi ai viaggi nel tempo.
In questo preciso momento sul nostro pianeta esistono popolazioni che vivono come si viveva diecimila anni fa, altre come nel medioevo ed
altre ancora come verso la fine del nostro Ottocento.
Questo stato di cose è rimasto immutato fino a quando non è diventato molto più rapido e semplice viaggiare, trasportare merci e mostrare,
tramite i mezzi di comunicazione, che esisteva una possibilità di vivere meglio.
Abbattere le dogane e superare l'ostacolo del trasporto ha consentito agli agricoltori sud americani, così come a quelli orientali, per
esempio, di esportare i loro prodotti nel nostro continente.
Ciò ha provocato la crisi del nostro analogo settore. E così è successo per tanti altri settori produttivi e commerciali.
Di contro, se da una parte abbiamo aiutato così facendo le popolazioni povere, dall'altra parte si è incrementato l'inquinamento e il
consumo di carburanti non rinnovabili.
Pensate a quanto costi trasportare via nave un container di prodotti che sarebbero facilmente
coltivabili a chilometri zero da dove abitiamo o che venivano realizzati in una piccola fabbrica del nostro paese.
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L'Europa è stata imprevidente anche sotto questo punto di vista ed ancora oggi non si parla neppure di introdurre almeno una tassa
ecologica motivata proprio dal consumo energetico e inquinamento prodotto dal trasporto su lunghe distanze.
Il processo, inoltre, sta introducendo, o ha già introdotto, il modello dello stile di vita consumistica in molte parti del globo, di cui
stiamo comprendendo i limiti.
La Cina soffre già di problemi d'inquinamento, ovvero sta percorrendo rapidamente tutte quelle fasi che hanno trasformato la nostra civiltà
contadina dell'inizio del ventesimo secolo, in società prima industriale e poi consumistica.
Allora la globalizzazione non è un bene, neppure sotto questo profilo.
Ma che fare?
Il processo non può essere arrestato, non dipende più da nessuno, dipendendo da tutto il sistema.
Quindi non c'è soluzione. I nostri figli e nipoti sono destinati a vivere sempre di più in una crescente povertà.
I posti di lavoro saranno sempre di meno. La media borghesia lascerà il posto ad una popolazione più misera e poche persone saranno ricche.
Si tratterà di grossi imprenditori e di speculatori dell'alta finanza, verso la quale pure non abbiamo posto limiti.
Non ci sarà più spazio per la piccola impresa, che sarà (come avviene già oggi) sempre più soffocata dalle grandi compagnie internazionali,
che detteranno legge.
Oggi un'azienda che si appoggi al web per il proprio business, ad esempio, è già in balia dei capricci dei motori di ricerca, che possono
spazzarla via dalla presenza, decretandone l'inevitabile fine.
Così come l'adozione di semenze OGM crea dipendenza dalla compagnia che ne detiene il brevetto a livello mondiale.
Linee guida per le riforme del futuro
Dobbiamo imparare a vivere meglio, ad essere
meno vincolati dalla grande distribuzione ed affascinati
dagli inutili o superflui acquisti di prodotti tecnologici o comunque facilmente rinunciabili, ma ancora più importante,
sempre che si sia ancora in tempo, dobbiamo attivarci per fare in modo che le future generazioni abbiano ancora un pianeta vivibile!
Dobbiamo
sincronizzare la formazione scolastica con le nostre reali esigenze lavorative,
garantendo così un posto di lavoro sicuro ai nostri figli.
Dobbiamo concedere in uso vasti territori nelle periferie delle nostre città e paesi a famiglie o cooperative che ne realizzino
coltivazioni
e piccoli allevamenti ad uso personale (ortaglia e animali d'allevamento).
Dobbiamo diffondere maggiormente il
risparmio energetico e sfruttare sempre di più il
recupero dei rifiuti.
Dobbiamo incentivare al massimo la
costituzione di nuove cooperative in tutti i vari settori (fenomeno già spontaneamente in atto), perché
queste strutture abbattono il divario economico-decisionale tra datore di lavoro e forze impiegate, quindi è un sistema più equo e reattivo.
Dobbiamo vincolare le aziende produttrici al
rispetto delle norme di qualità dei prodotti, affinché non sia più programmata la loro
obsolescenza o rottura per garantire maggiori profitti (certificazioni).
Dobbiamo
ottimizzare al massimo la struttura sanitaria, affinché i servizi restino di alto livello, ma a costi inferiori, abbattendo
sprechi, corruzione e incapacità.
Dobbiamo aiutare tutti i
settori del lavoro autonomo, fornendo loro informazioni su tecnologie, prodotti, esigenze dei mercati,
cooperazione, concorrenza e supporto gestionale (molto carente).
Dobbiamo introdurre a livello europeo una
tassa proporzionale ai chilometri di trasporto delle merci importate.
E chissà quante altre iniziative e riforme orientate al nuovo assetto anti-consumistico si potrebbero attuare, nel rispetto del merito,
della qualità, della durata, dell'economia, del benessere dei cittadini.
In una parola sola
dobbiamo uscire dall'era consumistica, dal governo dei mercati e dell'alta finanza speculativa ed abbattere il profitto di pochi per inventarci l'era successiva, basata sul reciproco sostegno sociale, riducendo i nostri consumi, ma incrementando la nostra sicurezza e tranquillità economica.
Se il futuro prenderà questa direzione, anziché ridurci a guerre tra poveri, allora potrà anche affiorare la speranza e fiducia verso una
società migliore di quella attuale, meno avida, meno ignorante, meno sprecona ed egoistica, meno corrotta e depravata e
più sensibile anche ai problemi del nostro pianeta, per nulla trascurabili!
Autore: Enrico Riccardo Spelta
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