Riflessioni sulle religioni, da parte di un non credente
Premessa
Se noi "atei" siamo tenuti a rispettare le opinioni dei "credenti", possiamo contare sul fatto
che di contro i "credenti" siano tenuti a loro volta a rispettare le opinioni degli "atei"?
Se siete credenti non siete obbligati a leggere queste opinioni.
Potete tenervi stretti alla vostra religione e passare ad altre pagine.
DIO E' ATEO?
La fede è un atto di rinuncia alla propria intelligenza. La può avere solo chi non ha nulla a cui rinunciare.
(Spelta)
"
Dio è ateo” (è una frase di G. Papini)
"
Dio è il dolore che nasce dalla paura della morte” (Dostoevskij)
"
Se Dio ci ha fatti a sua immagine, gli abbiamo reso pan per focaccia” (Voltaire)
Ogni popolo, razza, civiltà, contrariamente a quanto afferma la scritta sull'ateo-bus, ha sempre sentito il bisogno d’immaginare
uno o più esseri superiori, verso cui scaricare le proprie paure, o a cui raccomandare la realizzazione dei propri desideri terreni,
o su cui riporre le proprie speranze d’immortalità, salute, felicità.
D’altro canto, che Dio, in tutti i modi in cui sia stato rappresentato, sia un’invenzione del pensiero umano, mi sembra
molto logico e incontrovertibile.
L’umanizzazione del Dio
onnipotente e
onnipresente, se analizzata in un contesto non distratto dalla fede, sembra
un fragile tentativo di soddisfare il proprio desiderio d’una realtà diversa da quella così spesso spietata che tutti noi conosciamo.
La domanda fondamentale da porsi sarebbe a mio avviso questa: Dio è dentro il nostro Universo o è fuori?
Se lo immaginiamo "dentro", allora dobbiamo considerarlo condizionato da tutte le leggi fisiche (gravità, spazio-tempo relativo,
materia, distanze e velocità della luce, ecc. ecc.). Ovviamente se è condizionato dalle leggi fisiche non può fare nulla che le contraddica, e nello stesso tempo è difficile immaginare che il Creatore abbia creato la sua opera standocene dentro.
Se, invece, lo pensiamo al di fuori del nostro Universo, allora Egli non risponde alle leggi fisiche, non è in alcun ambiente spazio-temporale,
è nel nulla inimmaginabile e dunque isolato e impossibilitato a comunicare con noi in alcun modo.
La descrizione di un Dio vendicativo che interferisce coi nostri comportamenti non può essere accettata dalla ragione,
poiché smentirebbe l’assunto dell’onnipotenza.
Infatti se Dio fosse onnipotente e nello stesso tempo avesse bisogno di vendicarsi punendo chi venisse meno alle sue leggi,
già avremmo rinnegato l’onnipotenza, così come se accadesse anche una sola cosa a sua insaputa ne avremmo rinnegato l’onnipresenza.
Per essere validi i due attributi si dovrebbe immaginare un Dio padrone di tutte le cose e promotore di tutte le azioni
che accadono nell’universo, quindi un Dio che non avrebbe bisogno che gli venissero rivolte preghiere o ringraziamenti,
in quanto già consapevole di ogni atto umano, un Dio privo di qualsiasi bisogno di punire, poiché questa punizione cadrebbe unicamente su di Lui.
Pertanto, o gli esseri viventi ed il genere umano in particolare, hanno almeno un briciolo di indipendenza da Dio,
e allora l’immagine di Dio, così come l’insegnano molte religioni, verrebbe collocata in una posizione intermedia inaccettabile,
oppure non hanno alcun potere arbitrario, e con ciò Dio si potrebbe identificare con lo stesso destino di tutte le cose, il che equivale sempre ad
un rapporto tra causa ed effetto.
Se l’onnipotenza si trasforma razionalmente in destino, allora si potrebbe anche affermare che l’onnipresenza
equivale all’universo intero.
Solamente in questo modo acquista il suo pieno valore il concetto stesso di Dio; volendo indicare con questo nome l’insieme di
tutte le cause ed effetti di tutta la sostanza dell’universo.
Ma in questo modo identificheremmo col nome "Dio” anche tutte le leggi fisiche che conosciamo.
L’universo in questo senso va inteso come "il tutto”, senza alcun limite né di spazio né di tempo né di contenuti,
materiali o immateriali che siano.
Solo in questo modo il rapporto "Dio <-> Universo” diventa accettabile e indiscutibile, poiché ciascuno di noi
può dubitare di qualsiasi cosa provi, ma nessuno può dubitare che esista un universo.
E allora se l’universo esiste, nulla d’immaginabile può essere più grande e pertanto Dio non può che identificarsi
con l’universo intero, se vogliamo elevarlo a simbolo religioso della massima autorità.
Dio è un pianeta, una stella, un virus, un albero, una carica elettrica, ma anche ogni particella ed ogni pensiero di ciascun essere umano.
Stando a questa visione non dobbiamo cercare fuori di noi alcun aiuto per intraprendere quel processo evolutivo che ci elevi fino a un finto Dio,
anche se ci farebbe molto comodo continuare a "ridurlo” a semplice superuomo.
Siamo già arrivati a quel traguardo, siamo già superuomini noi stessi!
Non serve adorare Dio in chiesa, che è forse l’unico posto al mondo dove è poco presente; basta guardare un gabbiano, toccare la mano di un
altro uomo, osservare la forza del vento, bere un sorso d’acqua fresca, levare lo sguardo al cielo e lì comunque troveremo Dio.
Questo sentimento di consapevolezza della presenza di Dio non porta in sé alcun fanatismo, nessuna paura e nessuna ambizione di superiorità.
Non induce a guerre.
E non induce neppure a non strappare un filo d’erba per timore di ferire Dio, poiché Dio è anche nello stomaco dell’asino che
si nutre di quel filo d’erba e nei suoi escrementi, e in tutto ciò non v’è alcuna idea blasfema o rivoluzionaria,
ma la più ampia e serena comunione con ciò che ci circonda e la gioia di sapere che siamo liberi di pensare, decidere e agire come meglio crediamo,
atomi intelligenti sparsi tra atomi -forse- meno intelligenti.
Non scarichiamo su altri il compito di scrivere i nostri comandamenti, diamoci pure un’etica tutta umana, purché rispetti
tutto ciò che va rispettato, come del resto sta già scritto sulla carta dei diritti dell’Uomo, ben più completa ed attuale
dei modesti dieci comandamenti, che tradiscono la loro antica origine terrena già dal primo punto: "non avrai altro Dio fuori di me”.
In questa frase è già presente la meschinità di un presunto Dio che ha paura d’essere usurpato e accantonato;
è già misero uomo più che grande Dio, entità distinguibile dalle altre e c’è prepotenza e paura nelle sue parole.
La frase esprime un ordine, un’imposizione, non una verità, che altrimenti suonerebbe come "non ci può essere che un solo Dio
perché solo Egli è il tutto”. Se fosse "Tutto”, non potrebbero mai esserci due "tutti”, no?
Inspiegabile pure l’arroganza del secondo comandamento: "non nominare il nome di Dio invano”.
Ma se il Decalogo dichiara che Iddio è unico e non può essere circoscritto in immagine alcuna e nemmeno nell’enunciazione di un nome,
come può allora essere necessario un comandamento che ne vieti un nome? E "Dio” non è forse un nome?
Il pasticcio è reale, al punto che un nome a questo Dio gli va pur dato ugualmente e così si dà il via all’immaginazione
dei fedeli che cercano inevitabilmente di dare anche una forma a questo Dio. L’errore è proprio qui, nel non avergli voluto
dare una volta per tutte il giusto nome che deve avere: "Universo”, che sarebbe facilmente comprensibile a tutti,
ma ben per questo privo di qualsiasi autorità e fascino del mistero.
La base del Decalogo è giusta quando afferma che Dio è unico e non può essere ridotto ad immagine, ma questo concetto nei comandamenti
della Chiesa cattolica è stato distorto in modo da diventare strumento di prepotenza.
Anche il quarto comandamento è riduttivo, in quanto determina che debbano essere onorati solo il padre e la madre.
Prima di tutto il termine "onorare” è improprio, semmai si dovrebbe parlare di rispetto, e poi così espresso il concetto
non può essere esteso, come alcuni preti vogliono farci intendere, a tutti gli altri.
I fratelli, le sorelle, i figli, non devono essere ugualmente "onorati”?
Non sarebbe più giusto e semplice chiedere all’umanità di rispettare tutti i propri simili? Ed anche in questo caso
non si esprimerebbe il criterio ancora più importante, che sarebbe, invece, quello di chiedere all’uomo di rispettare
tutto ciò che lo circonda, ovvero tutti gli altri esseri umani, ma anche tutti gli animali, le piante, i fiumi, le montagne, ecc.
E Dio solo sa che bisogno ce ne sarebbe, di rispettare un simile comandamento, considerando le innumerevoli violenze che il nostro
intero pianeta subisce quotidianamente per mano dell’uomo, senza adeguata indignazione da parte della Chiesa.
Anche il non ammazzare è discutibile, perché non precisa "chi” sia l’oggetto del divieto. Non devo ammazzare un mio simile,
oppure questa religione mi impone di non ammazzare qualsiasi essere vivente? Non devo ammazzare neppure in caso di legittima difesa,
o sono ammesse eccezioni e deroghe?
Non devo ammazzare neppure in guerra, per difendere i miei simili dall’aggressore, o ci sono guerre considerabili "giuste”?
Le crociate e tutte le altre guerre feroci combattute in nome del cristianesimo avevano dimenticato questo comandamento o rientravano
in quelle eccezioni che non sono state meglio chiarite dal comandamento stesso e di cui qualcuno s’è fatto di volta in volta
interprete accomodante?
Mi sembra evidente che il rispetto dei comandamenti per il credente debba essere paragonato al rispetto delle leggi di uno stato
laico e quindi è altrettanto essenziale che un comandamento sia espresso chiaramente e non si presti ad alcuna manipolazione o
cattiva interpretazione, così come dovrebbe essere per le leggi civili e penali.
Con il sesto comandamento sprofondiamo nel torbido mondo del peccato carnale e qui emerge tutta l’ipocrisia che ha sempre
circondato nella religione cattolica questo spinoso argomento.
La frase "non commettere atti impuri” ancora una volta non determina in modo inequivocabile quali atti siano
considerabili "impuri” e quali no.
Del resto tutti noi abbiamo ricevuto una spiegazione che più o meno ci ha fatto classificare come impuri tutti quegli atti sessuali
che non hanno un effetto diretto in termini di procreazione.
Ciò indica chiaramente che per la religione la pratica sessuale ha esclusivamente questo scopo e nega qualsiasi altra motivazione
al rapporto che sia esclusivamente di bisogno fisiologico o di espressione d’amore profondo fine a sé stesso.
Questa piccola regoletta dall’apparente innocenza ha condizionato per duemila anni uno degli aspetti più critici e
delicati dell’intera popolazione di credenti. Ha gettato infiniti sensi di colpa, turbato rapporti sessuali,
compromesso relazioni di puro affetto, solo per l’ingiusta attribuzione di impurità che è stata data all’atto sessuale.
Chi mi può dire perché debba essere più puro agli occhi della fede un brutale ed egoistico atto sessuale compiuto da un
uomo nei confronti della propria donna perennemente incinta ed in situazione di massima povertà, nei confronti di un atto
sessuale compiuto semplicemente e solamente per onorare il proprio amore di coppia nel più sublime dei modi?
E non è forse un segno di responsabilità il tentativo di evitare la procreazione laddove non sia desiderato un figlio o
non sia possibile garantirgli un minimo di benessere? Ma se questa semplice regola viene rispettata persino da molti animali,
che, non avendo mezzi più civili, uccidono la prole se ritengono non sussistano le condizioni minimali per la loro sopravvivenza.
Non rubare e non desiderare la roba d’altri sono comandamenti che affrontano lo stesso tema, ma mentre il primo ordine
è perfettamente rispettabile, in quanto ciascuno di noi può astenersi dal sottrarre ad altri, il secondo sembra scritto
da qualcuno che non conosce la psicologia umana e ignora che è impossibile soffocare un desiderio. Il desiderio, infatti,
precede la volontà ed il controllo dell’azione e perciò sfugge alle nostre responsabilità e controllo.
Con questo comandamento, quindi, siamo già tutti peccatori garantiti!
La stessa cosa vale per il desiderio della donna d’altri, ma con l’aggiunta che qui si rivela anche una
scarsa considerazione o conoscenza dell’animo femminile, visto che alle donne non viene diretto lo stesso ordine
di non desiderare gli uomini d’altre.
Del resto l’idea che la donna dovesse avere parità di diritti e pari dignità dell’uomo è storia assai recente
ed ha richiesto duemila anni per affermarsi.
Tutto ciò farebbe sorgere il dubbio che anche Iddio avesse meno esperienza all’epoca e considerasse le donne come essere inferiori.
Per semplicità, allora, avrebbe potuto anche scrivere "non desiderare né la donna né la roba d’altri”,
mettendole sullo stesso piano e così sarebbe stato più facile capire che Dio non solo è invenzione umana, ma più precisamente dell’uomo maschio.
Un altro strano comandamento è quello a proposito del santificare le feste.
Sarebbe stato più semplice se si fosse detto di festeggiare i santi, oppure di riposare un giorno per settimana
o se si fosse esplicitamente richiesto di andare in chiesa nei giorni di festa.
Nessuno di noi è in pratica capace di "santificare” una festa.
Non lamentiamoci troppo delle nostre leggi civili, se già quelle di Dio sono uscite così poco chiare!
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Il più stravagante e incomprensibile dei comandamenti resta, però, l’ottavo, che impone di non dire falsa testimonianza.
Perché mai sarà stato scelto proprio quest’ordine? Perché è stato ritenuto più utile dettare all’uomo l’obbligo
di essere sincero nel testimoniare (a chi e che cosa non si sa), piuttosto che, per esempio, proibirgli tutte le prepotenze,
arroganze, sopraffazioni, violenze, sfruttamenti, corruzioni, ecc. che è capace di compiere a danno dei suoi simili ed in qualsiasi circostanza?
Dobbiamo credere che tutto ciò che i dieci comandamenti non menzionano sono cose ben accette agli occhi di Dio?
O sono usciti dei decreti delega e vari emendamenti successivi da applicarsi a queste leggi divine, così poco credibili e ispirate?
Dio non può aver suggerito questi comandamenti. Prima di tutto perché Dio non dovrebbe suggerire o ordinare nulla, dato
che l’onnipotenza gli consentiva di creare uomini già privi di ciò che secondo Lui non dovevano fare e poi perché
non ha senso l’idea di un Dio che crea uomini a sua immagine e somiglianza (anche se abbiamo appena negato che
abbia un’immagine!), per poi comandare ciò che non devono fare e castigarli, visto che lo fanno lo stesso.
E per finire vorrei spendere due parole anche sui santi, visto che ci siamo.
Una Chiesa veramente moderna ed integrata nella società in cui opera non può astenersi dal santificare uomini come Pasteur,
Sabin, Leonardo Da Vinci, Galileo Galilei, Einstein, ecc., che hanno donato i frutti della loro immensa intelligenza al genere umano,
elevandone il valore spirituale o alleviandone le sofferenze.
Non sono certo le crisi mistiche, i complessi di frustrazione Agostiniani, le depressioni ed i fanatismi dei noti santi
immortalati dalla Chiesa ad aver dato qualcosa di più nobile, intelligente e duraturo.
Noi dobbiamo essere atei, perché è l’unico modo per esprimere la più profonda delle religioni: la fede in noi
stessi e l’amore e ammirazione per l’universo intero con tutti i suoi meravigliosi meccanismi e misteri.
Il pensiero di un Dio-Universo è troppo grande, suggestivo e profondamente religioso per essere messo a confronto col
piccolo Dio creato e sfruttato dall’uomo.
Questa meravigliosa consapevolezza dovrebbe diventare patrimonio dell’intero genere umano, per porre fine a quei
miseri concetti speculativi di cui i preti di ogni epoca hanno fatto così ampio uso per condizionare gli individui ed
ottenere privilegi d’ogni genere, brandendo i loro miseri comandamenti che loro per primi, e forse più di tutti
gli altri, hanno sempre vergognosamente calpestato.
L’uomo deve vincere la paura di sentirsi solo nell’universo (anche perché non è detto che lo sia veramente),
e imparare a convivere serenamente con sé stesso, così come deve rendersi conto che non esistono "misteri” incomprensibili,
ma semplici ignoranze colmabili.
Autore: Enrico Riccardo Spelta
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