Altruismo (ed Egoismo), riflessioni
Se con questo termine intendiamo un atto assolutamente disinteressato, cioè scegliere di compiere un qualsiasi gesto in favore di un altro, senza ricevere niente in cambio, forse rischiamo di parlare di qualcosa che non esiste.
Una definizione un po’ cinica dell’altruismo potrebbe essere: "L’altruismo è la spinta ad elargire ad altri ciò di cui ci priviamo volentieri, con la tacita attesa che il gesto venga in qualche modo premiato”.
E’ molto raro che si doni ad altri qualcosa che serva veramente a noi stessi; prima di molti gesti altruistici c’è quasi sempre una riflessione ed una scelta di convenienza, salvo quegli atti sconsiderati o irrazionali che precedono qualsiasi ragionamento e sfuggono così alla regola.
In certi casi si parla di comportamento altruistico semplicemente perché non si è scoperto dove si nasconda quello egoistico.
Se siete convinti del contrario, ovvero che l’altruismo è molto diffuso, provate a farne qualche esempio e verificatelo con scrupolo.
Attenzione, però, perché molto spesso la merce di scambio c’è, ma non è facile scovarla!
Con un comportamento altruistico si può anche soddisfare il "proprio” bisogno di punizione o di procurarci gratitudine o si può combattere la "nostra” solitudine o la noia.
Il gesto altruistico, per essere veramente come lo intendiamo comunemente, dovrebbe partire dalla certezza che non vi sia alla base nessuna "merce” di scambio, ma che sia una pura donazione incondizionata (del nostro interessamento o amore o semplicemente del nostro tempo) oppure che sia un atto di generosità derivante dal privarci di qualcosa a cui veramente teniamo, senza averne in cambio altri beni di uguale valore.
Con questa premessa non voglio dire che l’altruismo non sia comunque un atteggiamento positivo, ma soltanto che in realtà non è così "nobile” come si vorrebbe ritenere e che questa pratica è più rara di quanto si creda.
Molte false situazioni altruistiche nascono in realtà da autentiche debolezze umane. Per esempio la classica affermazione: "ho sacrificato tutta la mia vita per i figli e la famiglia” nasconde assai spesso una diversa interpretazione: "mi sono dedicata ai figli perché ciò mi appagava più di ogni altra mia possibile scelta diversa”. E c'è da aggiungere che spesso la gratificazione personale non basta ed allora si rimprovera ai figli di non mostrare la "dovuta" gratitudine.
Piuttosto che pagare "in contanti” i drammi di una rottura repentina, per esempio, questo tipo di persone preferisce pagare "a rate” un fallimento familiare, il più delle volte coinvolgendo nella quotidiana sofferenza anche gli altri componenti del nucleo, figli in particolare.
Un altro esempio potrebbe essere quello del missionario. Anche in questo caso l’altruismo è molto discutibile. Quanti preti decidono di andare in missione per soddisfare il bisogno di convertire al loro credo religioso, cioè per "evangelizzare", piuttosto che fare del bene nel rispetto del diverso? Alla base non c'è forse una precisa ambizione?
Se poi volessimo valutare più a fondo il "bene” che i missionari elargiscono, dovremmo anche fare i conti con la devastazione culturale e morale che spesso si lasciano alle loro spalle, man mano che, estirpando feticci, innestano tabù a volte peggiori.
Ci sono anche missionari laici che partono per spirito d’avventura.
Ma non è forse che alla base c'è sempre la ricerca di un proprio appagamento?
Lo stesso Albert Schweitzer, nel suo libro "Rispetto per la vita”, mi pare che non parli poi tanto di altruismo e amore per il prossimo, quando afferma: "Noi che predichiamo il Vangelo nelle terre straniere rappresentiamo l’avanguardia di un esercito che ha subìto una sconfitta e che deve venire riorganizzato.”
Per essere un premio Nobel per la pace, un "portatore di etica, fede e scienza" non riesco a rintracciare neanche una briciola di altruismo vero nel suo scritto, neppure nel suo grido d’allarme per il pericolo della rovina morale, quando scrive: "Noi tutti ci esauriamo nella estenuante lotta tra il lavoratore europeo che si sente responsabile e ha sempre fretta, e il figlio della natura che non sa che cosa sia la responsabilità e non ha mai fretta.” Traspare chiaramente il suo disprezzo per le popolazioni che vuole convertire.
E poi, sempre lo stesso Schweitzer, prosegue lamentandosi perché i "figli della natura”, come li chiama lui i legittimi abitanti del Gabon : "forniscono solo quel tanto di lavoro che si riesce a imporre loro e, appena diminuisce la sorveglianza, fanno esattamente ciò che vogliono senza alcun riguardo per la perdita che può derivarne ai loro padroni. Sembra più uno schiavista che un missionario altruista, o no?
"In questa lotta di ogni giorno e di ogni ora con il figlio della natura, l’uomo bianco corre il pericolo di una graduale rovina morale”.
Non si capisce bene cosa intenda Schweitzer per "rovina morale”, visto che in effetti si riferisce ad una scarsa resa di produzione da parte dei "figli della natura” verso i loro "padroni”, malgrado la lotta quotidiana per stimolarli (con la preghiera o con la frusta?) a rendere di più, ma mi sembra che come esempio d’altruismo e di rispetto per la vita, sia sufficiente.
Certo qualcuno potrà obiettare che però ha anche costruito ospedali e curato gli infermi, oltre ad aver cercato di far lavorare gli indigeni, magari contro la loro volontà, ma tutto ciò comunque non l’ha fatto per nulla ed in silenzio, visto che si è reso tanto famoso da accaparrarsi persino un premio Nobel. E non era quello il suo obiettivo?
Sia chiaro, però, che il mio discorso non vuole rinnegare l’utilità del comportamento altruistico, che non metto neppure in discussione, ma semplicemente porre in guardia dai tanti "falsi” in circolazione e da quelle forme di altruismo che sarebbe meglio, invece, eliminare.
Ben venga il volontariato, se le strutture sociali non funzionano, prescindendo dai motivi che spingono una persona a prestare assistenza ai bisognosi.
alleviare le sofferenze di popolazioni assediate dalla fame, dalla sete e dalle malattie, purché nel tempo si fornisca loro sempre più cultura per costruirsi reti da pesca piuttosto che mandargli pesci, cioè ci si preoccupi di creare soprattutto autonomia.
Siano degni di massima stima quei ricercatori che si iniettano un virus nel loro corpo per sperimentare meglio gli effetti di un antidoto.
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Ma non posso considerare come gesto d’amore il donare un nuovo confessionale o una panca o lasciare tutto in beneficenza alla propria parrocchia. Sarà un gesto altruistico se visto dalla parte del parroco, ma resta in ogni caso un atto scaramantico (per comperarsi il Paradiso?) privo di ogni contenuto d’amore per il prossimo!
Tanto meno altruistico è l’adottare un bambino quando non se ne può avere di propri.
E’ si vero che gli orfani hanno bisogno di trovare dei genitori ed una vera famiglia, ma la spinta nasce dal proprio personale desiderio e aspirazione istintiva di avere un figlio e non dalla consapevolezza che ci sono bambini che hanno bisogno di genitori, tant’è che ci sono anche quelli che il bambino se lo
comprano, pur d’averlo, senza scandalizzarsi troppo dei mezzi con cui riescono così ad ottenerlo.
La mia conclusione rimane dunque che l’uomo è un animale fortemente egoistico, che ha la spinta ad impossessarsi ed accumulare per sé (o al massimo per la propria famiglia) tutto ciò che può e senza badare molto spesso ai mezzi che usa e ai danni che procura ad altri.
Questo comportamento è probabilmente estendibile ad ogni comunità, razza e religione, salvo qualche rara eccezione. Ciò non di meno l'azione altruistica è utile per sé e per gli altri, prescindendo dalle motivazioni anche se spesso non si ritiene d'essere stati compensati nel giusto modo.
Autore: Enrico Riccardo Spelta
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