La storia del giudizio di Paride
La storia del giudizio di Paride, si trova in vari poemi, tragedie e commedie dell'antica Grecia, tradotte in latino dai poeti romani alcuni
secoli prima di Cristo.
Naturalmente è parte delle leggende mitologiche e, come leggenda si conoscono varie versioni, tutte con alcuni punti in comune, ma che poi si
svolgono e terminano con grandi o piccole distinzioni.
La storia parte da prima della nascita del protagonista: sua madre Eucuba, moglie di Priamo, re di Troia, sogna di partorire una fiaccola
ardente da cui escono numerosissime serpi.
Nel sogno di Ecuba, il fuoco da lei dato alla luce, dal Monte Ida distrugge i Templi degli Dei ed infine l’intera città di Troia.
Per interpretare il sogno, viene interpellato un indovino Esaco che non ha difficoltà a tradurre il sogno minaccioso: dal grembo di Ecuba nascerà un
bambino che causerà la distruzione della città.
Nelle tragedie greche, l'uccidere un bambino portatore di guai, come consigliava la sorella e profetessa Cassandra, non era una soluzione da
scartare, ma gli
sfortunati genitori accettarono il consiglio dell'indovino che consigliava semplicemente di allontanare il figlio dalla città.
Non appena Paride nacque, Priamo fece chiamare un bovaro di nome Agelao e gli consegnò il bambino, perché fosse abbandonato sul Monte Ida.
Il Monte Ida, coperto di dense boscaglie e pascoli, cosparso di grotte che erano altrettanti santuari, non era troppo lontano dall'antica Troia, ma era legato agli Dei che lo frequentavano: sulle sue pendici venne celebrato il matrimonio di Zeus e di Era, mentre Apollo vi custodiva gli armenti del re Laomedonte.
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Il neonato venne così abbandonato sulla montagna alla mercé degli animali selvatici, ma un'orsa si occupò di lui allattandolo finché Agelao, vedendo in questo la mano degli Dei, lo accolse nella sua casa.
Paride crebbe lavorando come mandriano ed il suo svago favorito consisteva nel far lottare i tori di Agelao e, quando uno di questi tori cominciò a vincere con regolarità, Paride lanciò una sfida ai capi delle mandrie vicine e tutti furono sconfitti.
La fama del toro imbattibile giunse fino a Troia e Priamo ordinò che lo portassero in città perché fosse messo in palio, come premio per il vincitore nei giochi funebri indetti in onore di quel figlio di Priamo che si diceva fosse morto in tenera età, cioè Paride stesso.
Paride dunque, partecipò ai giochi per riconquistare il proprio animale e li vinse sconfiggendo fra gli altri un altro dei figli di Priamo, Deifobo, che minacciò Paride con la spada in pugno.
Il giovane, cresciuto sul Monte Ida, era diventato un bellissimo atleta, ma non era un guerriero e, davanti alla spada di Deifobo fuggì per rifugiarsi, come supplice, presso l’altare di Zeus, dove fu riconosciuto dalla sorella e profetessa Cassandra.
Re Priamo, dimenticando la funesta profezia, accolse il figlio a braccia aperte reintegrandolo nel suo ruolo di Principe. Ma il seme delle disgrazie stava già germogliando e la profezia realizzandosi.
Era successo che Giove, avendo concesso Teti in sposa a Peleo, avesse riunito tutti gli dèi a banchetto sull'Olimpo, dimenticando di invitare la Dea Eris (o Ate) Dea della Discordia che si autoinvitò alla festa con la sua vendetta.
Sulla tavola dove erano assisi gli Dei e le Dee, Eris buttò una mela d'oro dicendo che era per la più bella.
Subito le giovani dee
Giunone (Era),
Venere (Afrodite) e
Minerva (Pallade Athena) rivendicarono a sé la mela della discordia, ritenendosi ognuna la più bella.
Stanco del grande litigio, intervenne
Giove ordinando a Mercurio di portare le tre contendenti sul Monte Ida e che il pastore Paride facesse da giudice.
Naturalmente, ognuna delle tre, per rafforzare la propria bellezza agli occhi del giovane, gli promisero un premio:
Giunone, promise a Paride che, se avesse giudicato a suo favore, sarebbe diventato re di tutte le terre e il più ricco di tutti i mortali.
Minerva disse che, se fosse stata lei la vittoriosa, Paride sarebbe diventato il più forte tra i mortali ed esperto di ogni arte;
Venere, infine, promise a Paride, in cambio della vittoria, di dargli in moglie Elena figlia di Tindaro, la più bella di tutte le donne.
La bellezza di Elena era leggendaria: figlia di Leda e di Zeus che, per unirsi alla donna, si era trasformato in cigno.
Elena era nata così da un uovo e, divenuta poi la donna più bella del mondo antico, sposò Menelao re di Sparta, scegliendolo tra numerosissimi pretendenti.
Paride dichiarò vincitrice Venere preparandosi ad incassare il premio promesso: la bella Elena.
Ed è qui che le due storie, la disputa per la bellezza di tre Dee e il destino di Paride, si uniscono per far realizzare la profezia dell'incendio di Troia: quando il giovane mandriano Paride, diventa il figlio ritrovato di Priamo e Principe di sangue reale, poté farsi costruire una nave con la quale, forse accompagnato dal fratello Enea, veleggiò per Sparta, dove, accolto come onorato ospite al palazzo reale, conquistò Elena che abbandonò il palazzo del marito re Menelao, in quel momento assente.
Lasciata Sparta, Paride si diresse verso Troia e il viaggio di ritorno, narrato in innumerevoli versioni diverse, fu ricco di contrattempi avventurosi per la copia di fuggiaschi.
Da qui l'inizio della guerra di Troia nella quale i greci di Menelao, del fratello Agamennone ed i loro alleati, distrussero, incendiando la città, con il tranello del grande cavallo di legno di Ulisse, dopo circa dieci anni di battaglie e morti da entrambe le parti.
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