Curzio Malaparte breve biografia e contenuti dei suoi libri
Curzio Malaparte pseudonimo di
Kurt Erick Suckert di padre tedesco e madre italiana, nacque a Prato il 9 Giugno 1898; giornalista, poeta, scrittore, personaggio complesso, incoerente, appassionato, stravagante, estremamente logico, uomo di gran gusto e dai gesti paradossali, un autentico “maledetti toscani”.
Studente nel famoso collegio Cicognini, a soli sedici anni si arruolò nella legione garibaldina per combattere in Francia con i repubblichini, ma l'anno dopo, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò nell’esercito italiano.
Curzio Malaparte durante la sua vita cambiò spesso schieramento e venne accusato di essere un voltagabbana, ma fu sempre e solo un'intelligenza controcorrente ed imprevedibile: prima repubblichino, poi fascista, antifascista, mangiapreti comunista, maoista, per morire convertito al cattolicesimo.
Dopo aver partecipato, nel 1922, alla Marcia su Roma, con le squadre d'azione fiorentine ed aver gestito case editrici allineate al regime,
guadagnandosi la definizione di Piero Gobetti: «la più bella penna del fascismo», Malaparte si staccò dal fascismo, non intravedendovi
più quella speranza di rivoluzione sociale che lo aveva portato a seguirne gli ideali.
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Nel 1933 venne allontanato da «La Stampà» di Torino proprio a causa del carattere individualista che emergeva dai suoi scritti in cui attaccava
sia Hitler che Mussolini, attacchi che gli valsero cinque anni di confino sull’isola di Lipari.
Grazie all'intervento di Galeazzo Ciano, Malaparte ritornò al giornalismo, come corrispondente di guerra del "Corriere della Sera" che lo portò sui fronti francese, finlandese, russo e dell'Africa Orientale durante la Seconda Guerra Mondiale.
"Il Volga nasce in Europa" (1943), "Kaputt" (1944), "Il sole è cieco" (1947), "La Pelle" (1949) sono i romanzi che scrisse in seguito alla sua esperienza di corrispondente di guerra sul fronte francese, finlandese e russo.
Giornalista e scrittore fu sempre un uomo profondamente libero, che portò nelle sue cronache i contenuti del verismo ed esaltando un naturalismo alla Zola, descrivendo la degradazione e la miseria della guerra con lo stile ricco di immagini, ereditato da Proust e condiviso con
D'Annunzio; mantenne le loro immagini barocche e lo stile sontuoso, per denunciare,
scandalizzare, provocare, diventare la coscienza politica dei vinti.
Alla caduta del fascismo, venne di nuovo arrestato e carcerato al Regina Coeli di Roma, come già gli era successo nel 1933, uscendone ingaggiato dal nuovo Esercito Italiano come Ufficiale di Collegamento con gli Alleati che risalivano la penisola.
Dal 1947 visse a Parigi dove si dedicò al teatro producendo fra l'altro "Du cà´té de chez Proust" (1948), "Anche le donne hanno perso la guerra" ed il film "Cristo proibito".
Irrequieto viaggiatore, nella sua vita ebbe modo di visitare
molti paesi del mondo: Belgio (1918), Ungheria (1919), Polonia
(1920), Russia (1929), Germania (1930), Inghilterra (1933), Africa
Orientale (1937, Grecia (1940), Bulgaria, Jugoslavia, Romania, Croazia,
Ucraina (1941), Lettonia, Lituania, Estonia, Lapponia, Svezia e Circolo
Polare Artico (1942), Cile (1952), Perù, Uruguay, Bolivia, Argentina
(1953), nuovamente Russia e poi Cina nel 1956; da questo ultimo viaggio
il giornalista
tornò in Italia malato di quella che sembrava una grave forma di TBC.
Senza abbandonare il suo cinismo profondamente intriso di
dolore e diabolicamente lucido, Malaparte, prima di morire a Roma il
19 luglio 1957, si convertì al cattolicesimo, riuscendo con quest'ultima scelta a
scandalizzare, ancora una volta, i contemporanei.
Quello che uccise il grande scrittore fu un cancro causato da
un’intossicazione di iprite contrattata durante la Prima Guerra Mondiale.